venerdì 1 febbraio 2019

Libri per bambini - Capitolo 9


Buon giorno a tutti!
È finalmente giunto il momento. Ho deciso, ormai. Non avete idea di quanto io tema questa recensione. Risulta difficile parlare del libro che a lungo si è considerato come il proprio preferito e che, in un certo qual modo, continua ad esserlo. Perché se è vero che ci sono stati tantissimi altri libri, prima e dopo questo, che mi hanno completamente rapito e che ho considerato dei capolavori insuperabili, “Il piccolo principe” è proprio quello che mi è rimasto dentro in modo unico.
Posso affermare con completa sincerità che ho letto molti romanzi bellissimi, che reputo allo stesso livello di questo se non ad un livello addirittura superiore. Ma “Il piccolo principe” ha saputo ricavarsi il proprio posto speciale dentro il mio cuore e da li non se ne è più andato.
Proprio per questo, per me, risulta estremamente difficile parlarne. Ho aspettato a lungo prima di scriverci una recensione e le motivazioni che mi spingono a farlo oggi non mi sono ancora del tutto chiare.
Non penso che una recensione possa davvero rendere giustizia a “Il piccolo principe”; non credo sia possibile essere completamente esaustivi, non più del libro stesso.
In parte perché è un’opera talmente famosa che credo conti già un bel numero di recensioni, nonché commenti, discussioni e note di critici letterari esperti del settore. Cosa potrei dire che già non sia stato detto?
In parte perché è una di quelle storie il cui significato dipende molto da chi ascolta la storia, ossia il destinatario di essa. E il destinatario principale, come si preoccupa di dire lo stesso Antoine De Saint-Exupéry, sono proprio i bambini. I bambini che, liberi dai preconcetti degli adulti, sono in grado di attribuire alle cose, alle persone e ancor più alle storie, significati fuori dal comune che noi non ci immagineremmo neanche lontanamente. È così che, magicamente, un cappello non è più un semplice cappello, ma si trasforma in un serpente che ha mangiato un elefante. Ed è così che la morte, non è più un concetto lontano ed astratto, ma diventa un momento di passaggio, di transizione importante e necessario. Ed improvvisamente è tutto più chiaro: il cappello non è mai stato un cappello e la morte non è mai stata solo morte. La realtà concepita da un adulto non è davvero realtà. Quella di un bambino si.
E io che ho letto questo libro già da adulta come dovrei iniziare una recensione che ne parli? Cosa potrei dire e quale sarebbe il mio personale, se così si può dire, valore aggiunto?
Devo parlare della volpe? Di questo furbo espediente che De Saint-Exupéry ha usato per raccontare dell’amicizia? Un legame che avvicina, che unisce due esseri tanto da permettere all’uno di influire sull’umore dell’altro e viceversa, ma che lascia anche ad entrambi la loro reciproca libertà individuale. Anche questo argomento è stato oggetto di ragionamenti ed elucubrazioni mentali.
Dovrei forse parlare dell’importanza delle piccole cose? Come la rosa coltivata con tanto amore e dedizione dal piccolo principe e che non si dimostra come un semplice oggetto fine a sé stesso, ma come un’entità piena di vita, che nella sua esistenza arricchisce chi la possiede rendendolo utile, dando ad entrambe le figure una specifica importanza e un senso alla propria vita.
Perché siamo a questo mondo per un motivo e forse, il motivo, è quello di coltivare rose; la bellezza di un atto che porta alla nascita e alla crescita.
Il capolavoro per cui Antoine De Saint-Exupéry è conosciuto è un grande viaggio, nell’universo prima e nelle emozioni umane poi, con lo scopo di crescere e maturare, di diventare adulti senza dimenticare il proprio essere bambini.
Quale idea contenuta in questa storia posso esplicitare meglio di ciò che lo scrittore stesso ci ha lasciato? Tra l’altro in frasi più semplici e più poetiche delle mie! Continuavo a chiedermelo e non avevo idea di cosa avrei dovuto dire.
Poi ho cominciato davvero a pensare al fatto che ogni libro, pur mantenendosi unico in sé e per sé, viene letto da molti occhi diversi, che colgono sfumature diverse e che interpretano a loro modo ciò che trovano fra le pagine. “Il piccolo principe” fa sentire questa peculiarità in modo molto forte e pur mantenendosi integro, sembra quasi che voglia dare al bambino la massima libertà possibile. Chi leggerà una bella storia di amicizia e altruismo e chi rifletterà su alcuni episodi. L’ho reso quasi montessoriano, ma spero di aver reso l’idea. E su questo profilo ho pensato di aggiustare un discorso che parte dai due punti fondamentali che io personalmente ho notato, alla veneranda età di diciotto anni, ovvero quando ho letto, fuori tempo massimo, “Il piccolo principe”.
Il primo punto sul quale vorrei concentrare l’attenzione risiede fuori dal libro, nel mio contesto quotidiano, dove la maggior parte delle persone che hanno letto questo libro sostengono con forza l’importanza di leggerlo da adulti. Perché, a quanto dicono, in realtà è un libro per adulti. Capisco perché lo pensino. “Il piccolo principe” fa leva su tasti molto difficili da realizzare consciamente per un bambino.

Amare non è guardarsi l’un l’altro, ma guardare insieme nella stessa direzione.

Può sembrare un concetto difficile, per un bambino. Lo capisco e non è detto che non sia vero.
Tuttavia, quando si tratta di bambini, ho imparato a non dare nulla per scontato. Stanno esplorando il mondo. Mancano di esperienza, non di cervello. Questo significa che una frase del genere, così come tante altre che si trovano nel libro, può benissimo essere il punto di origine per riflessioni importanti.
In definitiva capisco perché si abbia una certa opinione riguardo all’età in cui dover leggere “Il piccolo principe”. Semplicemente non la condivido.
Se l’autore stesso ha espressamente messo le mani avanti, specificando che ciò che ha scritto è destinato ai più piccoli, ci sarà un sacrosanto motivo. E sono anche giunta alla conclusione che il suddetto motivo possa essere di natura pedagogica: l’accompagnare il bambino nella sua crescita, ricordandogli quanto sia preziosa la sua infanzia; un momento della vita che bisogna necessariamente abbandonare per poter proseguire la propria vita e che tuttavia va conservato nella propria memoria come il nucleo più vero della nostra identità. Mai perdere la nostra parte infantile, questo è il consiglio! E allo stesso tempo è importante saper affrontare la propria crescita. Con questo non intendo dire che “Il piccolo principe” sia un testo adolescenziale, assolutamente! Intendo dire che aiuta il bambino ad abbandonare la sua infanzia, o più precisamente a riporla in uno spazio a lei destinato dentro ognuno di noi.

L’essenziale è invisibile agli occhi.

Questo ragionamento porta inevitabilmente al secondo punto della mia riflessione su quest’opera, ovvero il racconto dell’amicizia tra il piccolo principe e il nostro narratore.
Due figure che potrebbero benissimo oscurare l’amicizia tra il bambino e la volpe, ma niente di tutto ciò accade, perché narratore e protagonista non costruiscono lo stesso rapporto, bensì sono due facce della stessa medaglia. Sembra quasi che siano la stessa persona. E forse è davvero così. Uno il bambino che era e l’altro l’adulto che diventerà; un momento di passaggio in un deserto che è quasi la concretizzazione stessa e il simbolo di questa transizione. Una figura che deve andarsene e l’altra che deve continuare il suo viaggio, ma nessuno dei due dimenticherà mai l’altro e ne serberà per sempre il ricordo nei momenti di malinconia e serenità, come quando si ammirano le stelle, la notte.
Questo libro, l’ho già detto troppe volte, significa moltissimo per me e queste, più o meno, ne sono le motivazioni: il modo che ho avuto, anche e soprattutto inconsciamente, di farlo mio.
Sono sicura che questa storia susciti diverse riflessioni, a seconda del lettore e credo che lo scrittore abbia intenzionalmente realizzato un’opera per questo scopo.
“Il piccolo principe” resta la mia straordinaria, triste favola sulla sensibilità umana, sull’amore, l’affetto e l’importanza di cogliere l’essenza di ciò che ci circonda.
Buona giornata e buon fine settimana, lettori!
-Liù

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