mercoledì 22 maggio 2019

Mai giudicare un libro da un suo film... e viceversa - Lo Hobbit


ATTENZIONE!
Avvisiamo i nostri gentili lettori che questa rubrica conterrà spoiler sia sui libri che sui film che verranno trattati. Inoltre ci teniamo a sottolineare che non è una battaglia in cui uno dei due mezzi comunicativi vince sull’altro, ma è un confronto degli aspetti positivi e negativi di ciascuno per cercare di capire se l’adattamento cinematografico ha trasmesso l’idea originaria dell’autore o se invece se ne è discostato per raccontare qualcosa d’altro. Non parliamo di meglio o peggio ma di un confronto alla pari tra due canali comunicativi differenti.


Buon giorno amati cinefili!
Che sarebbe un po’ come dire: Buongiorno amati amanti dei film, ma lasciamo perdere le seppur vaghe ripetizioni lessicali che mi vengono in mente all’ora in cui sto scrivendo questo intervento e andiamo a bambanare di cose serie.
Visto che anche a casa mia dimora la somma tristezza di ogni fan di “Game of thrones” in questo periodo, per tirarmi un po’ su di morale ho deciso di incentrare il dibattito libreria/schermo televisivo su un fantasy degno di questo nome. Un fantasy VERO. Con un VERO finale. Che non faccia propriamente schifo dopo otto anni dall’inizio della sua avventura.
Chi ha orecchie per intendere intenda, signori! E per chi non ci arriva lo dico più esplicitamente: D&D, voi i soldi e la fama che vi ha portato il Trono non ve li meritate!
Ahimè dove sono finiti i cari, onesti e veri narratori fantasy di una volta? Dov’è finito il caro buon vecchio J.R.R. Tolkien, padre del fantasy moderno? Quindi, sostanzialmente padre di tutto il fantasy, visto che tutto ciò che riguardava elfi, nani e magia prima che Tolkien ne scrivesse si può tranquillamente riassumere con  leggende popolari raccontate a voce e forse qualche favola breve per bambini.
Non sono propriamente un’esperta del settore, ma dalle fonti che ho mi risulta che con la sua Terra di Mezzo, Tolkien sia stato il capostipite di una vera e propria famiglia letteraria e che per primo sia riuscito a rendere tremendamente umani degli esseri che ai suoi lettori erano quanto più distanti. La prospettiva con cui venivano precedentemente guardate le loro vicende eroiche, cavalieri o elfi che fossero, è stata completamente stravolta dalla penna di questo scrittore inglese, nato in Sud Africa e dalla vita tutt’altro che facile. Proprio come i suoi prediletti hobbit, anche noi lettori ci inseriamo in storie di guerre e cavalieri, in faccende più grandi di noi e proprio come loro ci ritroviamo nel cuore dell’azione, diventandone vera parte attiva noi stessi.
Suo grande amico e contemporaneo è anche l’autore di un altro famosissmo fantasy inglese: “Le cronache di Narnia”, di cui ho già parlato. Tuttavia, C.S. Lewis ha evidentemente abbracciato uno stile di scrittura e oltremodo di trama che, artisticamente parlando, di molto lo allontana da Tolkien.
Se “Il Signore degli anelli” si può considerare come vero fulcro dell’epopea tolkeniana, sarà altrettanto lecito porre “Lo Hobbit” come il suo prequel più significativo. Insomma, l’inizio di tutto. I fatti da non sottovalutare che hanno letteralmente permesso lo svolgersi di tutti gli eventi successivi. E protagonista di questo percorso avventuroso ed eroico oltre ogni dire non poteva che essere Bilbo Baggins. Un hobbit benestante e molto rispettato dalla sua comunità, che si troverà a vivere ciò che tutti gli hobbit della Terra di Mezzo temono più di ogni altra cosa: le avventure lontano da casa e il pericolo di morte ad ogni passo del cammino.
Sulla trama e sul libro non voglio soffermarmi molto, perché vorrei conservarmi il meglio per la recensione che ho in mente di scrivere per questo venerdì, ma posso dire che Tolkien ha trovato un ottimo declinatore delle sue opere in chiave cinematografica. Si, stiamo parlando proprio di Peter Jackson. Colui che con la trilogia “Il signore degli anelli” ha permesso ad una storia fantasy di vincere ben undici Oscar e questo solo per quanto riguarda “Il ritorno del re”; solo un terzo dell’intera opera.
Oggi preferirei soffermarmi su questo aspetto della storia, anche perché Jackson è un tipo fedele. E quando dico “fedele” intendo “attento ad ogni piccolo particolare”. Piuttosto che trovare soluzioni semplici tagliando parti di storia, Jackson preferisce realizzare film della durata di più di due ore ciascuno e la qual cosa, per gli amanti del genere, non può che essere apprezzatissima.
De “Lo Hobbit” avevo un vago ricordo frammentario, seppur molto bello. Gli anni possono giocare un brutto scherzo e ne sono passati veramente tanti da quando l’ho letto. Avevo completamente rimosso quasi ogni personaggio umano, così come l’allegra cittadina sul lago che nella pellicola assume l’aspetto di una Venezia arcaica. Perciò, quando mi sono ritrovata al cinema a vedere quella parte del film, qualcosa non mi tornava.
Poco male, ho pensato io. Come spesso mi sono preoccupata di ripetere, i cambiamenti da un mezzo comunicativo all’altro sulla stessa storia non mi infastidiscono più di tanto. Ma Jackson dimostra di pensarla in modo ben diverso e su ciò che mi racconta, attraverso le sue immagini e i suoi fantastici effetti speciali, posso stare pressoché tranquilla.
Non mi è ancora chiara la parte della storia che nel film vede coinvolti il nano Kili e l’elfa Tauriel in una tresca amorosa interrazziale alla “Indovina chi viene a cena”, ma oltre a non stare in pensiero per l’attinenza della trama al romanzo non sono nemmeno razzista e questo fatto mi va tranquillamente a genio. Certo, può anche essere stata mera strategia di marketing. Se non c’è almeno un vago accenno di limone duro contro il muro su quattrocentosessantaquattro minuti di trilogia, chi li recupera gli investimenti per aver realizzato il drago in digitale, o per la battaglia delle cinque armate? Ma gli interpreti sono Aidan Turner ed Evangeline Lilly, dalle buone capacità attoriali entrambi e che mi stanno pure abbastanza simpatici. Inoltre se fosse davvero marketing puro e semplice, Jackson si è anche bacchettato da solo con la tragica fine di questo amore sfortunato e per ciò non credo potremmo chiedere a questo film più di così.
La tecnica registica è molto bella, non c’è che dire. Scenografia, inquadrature ed effetti speciali sono un fiore all’occhiello che impreziosisce una storia dalle basi già ottime.
Ovviamente è un discorso che esula dal considerare il budget sicuramente alto che si aveva a disposizione per realizzare ciò che è poi stato portato sullo schermo. Tuttavia sono felice di poter promuovere a pieni voti questa pellicola nella sua interezza di trilogia e senza pensarci neanche troppo su. Tentenno invece molto di più nel paragone tra libro e film e nel decidere quale delle due opere potrebbe aver superato l’altra. Probabilmente è un quesito che per me, per una semplice questione di gusti, non si risolverà mai.
Resto comunque una fedele sostenitrice de “Lo Hobbit” e invito tutti a leggerlo e a godervelo nella versione in film. Un concentrato di avventura e dolcezza che fanno di Tolkien uno scrittore unico e di Peter Jackson un regista enormemente capace.
Buona giornata, lettori cinefili e alla prossima avventura!
-Liù

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