venerdì 10 maggio 2019

Narrativa - Capitolo 14



Si, avete visto bene. Quella pubblicata è esattamente la copertina del romanzo più famoso di Fabio Volo, “Il giorno in più”, da cui è stato anche tratto un film. E no, non è uno scherzo. Ho davvero letto questo libro, è stato il primo libro che ho letto di Fabio Volo e non è stato l’ultimo e ho davvero intenzione di recensirlo per questo venerdì.
Impallidite pure, lettori, non ho intenzione di scusarmi per ciò che leggo, non l’ho mai fatto e di certo non lo farò oggi e se avrete la pazienza di leggere fino in fondo, forse riusciremo a trovare un’ opinione condivisa a proposito di questo argomento.
L’argomento è, ovviamente, Fabio Volo ed il suo discutibile talento nel dilettarsi con la scrittura.
Pur essendo convinta della necessità di un certo spirito critico nel giudicare un’opera letteraria così come nel giudicare qualsiasi espressione artistica, ho anche sempre pensato che non si dovrebbe mai partire prevenuti rispetto ad un romanzo, ma che al contrario ci si debba riservare il sacrosanto diritto di non giustificarsi per l’oggetto verso il quale volgiamo lo sguardo.
Solitamente riesco a capire quale libro potrebbe piacermi e quale invece potrebbe non essere di mio gusto e questo avviene principalmente perché in linea di massima conosco me stessa e i miei gusti, non certo perché conosco a fondo il libro di cui ho letto solo trama e titolo in copertina.
Ciò nonostante, la scrittura di Fabio Volo non è fra quelle che riesco a classificare con precisione. Questo, ad essere sincera, succede anche attualmente dopo aver già letto qualche suo libro.
“Il giorno in più” mi è sembrato il libro perfetto per iniziare un ragionamento che forse non riguarda direttamente Fabio Volo, bensì la critica letteraria in sé e per sé.
In ogni caso questa vuole comunque essere una recensione, ragion per cui preferirei partire dalla trama del libro in questione per poi passare alla critica vera e propria.
Giacomo è il protagonista di questo romanzo, un uomo normale con una vita altrettanto normale sfociante nella vera e propria monotonia, senza un guizzo di magia che riesca a suscitargli ancora un po’ di stupore. Quando incontra Michela, uno strano e romantico incontro lungo settimane, le sue emozioni cambiano e Giacomo può dare alla sua vita una seconda possibilità; può finalmente rendere la sua esistenza autentica e profonda senza più vivere nella banalità della superficie per poi scoprire puntualmente di non vivere affatto. Non sarà di certo facile e per farlo dovrà rincorrere Michela fino a New York, scommettere sul loro rapporto come non aveva mai fatto in vita sua, ma Giacomo si scopre disposto a tutto per cominciare a vivere davvero in modo autentico e qualcosa dentro di lui gli dice che l’amore è la vera chiave di volta.
Il titolo è chiaramente riferito alla trama vera e propria, ma ciò non esula minimamente dalla metafora che, concretizzandosi negli eventi narrati, si fortifica maggiormente e da l’occasione a Volo di rimarcare quello che penso sia il vero senso del suo romanzo: noi stessi siamo i padroni, spesso addormentati, del nostro destino. Noi stessi scegliamo se vivere o non vivere a pieno la nostra vita. Ci sono giorni più importanti di altri, che potrebbero valere da soli un’intera esistenza e non sarà di certo la quantità di essi a rendere la propria vita degna di essere vissuta, bensì la loro qualità.
Ora, si potrebbe partire dal presupposto che questo argomento suoni un po’ come un pensierino da tema di terza media. Ci sta come critica. Lo capisco e posso arrivare a condividerlo, così come la trama che l’autore ha scelto per esprimere il suo pensiero: che sia una via abbastanza facilotta da percorrere è sicuramente un pensiero condivisibile. Tutti d’accordo.
Poi penso alla letteratura che potrebbe esserci che tratti gli stessi temi ma in una qualità superiore e no, non mi viene in mente nulla. Da qui mi parte la suddetta osservazione e vi prego di non prenderla come un’analisi con dati istat alla mano perché non è assolutamente questo il caso. Prendetela piuttosto come una pura e semplice chiacchiera da bar e niente di più.
La generazione di Fabio Volo ha vissuto un periodo storico che ha inevitabilmente seminato abbondanti dosi di cinismo un po’ ovunque, nella letteratura come nella musica, come in altri ambienti. Era la generazione del futuro che, ci si aspettava con la più grande certezza, avrebbe dovuto vivere un benessere economico infinitamente superiore a quello dei loro genitori e soprattutto un benessere stabile, sicuro. Per questo non mi risulta affatto strano il fatto che un romanzo che trasmette tanto positivismo, sia un po’ una mosca bianca in un mare di pessimismo cosmico nichilista. Questo non rende il libro di Volo un buono o un cattivo libro, ma quanto meno fa di esso un romanzo con pochi metri di paragone e francamente non trovo giusto condannarlo solo perché la dannazione eterna cattura molta più attenzione rispetto ad un happy ending praticamente certo.
Se devo proprio dare un giudizio in merito a quest’opera mi viene oltremodo spontaneo partire da diversi punti di vista. Potremmo guardare “Il giorno in più” in un’ottica alta ed ovviamente lo etichetteremmo come un librucolo di filosofia spiccia. Oppure potremmo guardare allo stesso romanzo con una pretesa più bassa, ma non altrettanto svilente, ricordando di porci le sacre domande: questo libro danneggia i suoi lettori? Questo libro poteva fare a meno di essere pubblicato? Questo libro è scritto tecnicamente bene? Questo libro è un valore aggiunto?
Per quello che mi riguarda, signori miei, ecco il mio giudizio: no, questo libro non danneggia il suo pubblico, nel senso che non suggerisce qualcosa che può essere criticabile da un punto di vista morale. Fabio Volo non è intenzionato a condividere nient’altro che un’epifania personale sull’amare sé stessi e prendere in mano la propria vita.
Questo libro poteva fare a meno di essere pubblicato tanto quanto potevano farne a meno tantissimi altri, più apprezzati rispetto a questo dalla stessa medesima critica.
Chi sentenzia: “Potevo scriverlo anch’io e meglio” dovrebbe forse ricordarsi che se avesse davvero potuto, invece di dirlo l’avrebbe fatto. Questa è una lezione che ho imparato a seguito dei miei studi sull’arte contemporanea, dove spesso appaiono delle opere di difficile comprensione che puntualmente vengono messe alla berlina da chi fondamentalmente non capisce né tantomeno ha mai studiato nulla di arte contemporanea. La “Merda d’autore” è una cosa, la polemica partorita per ignoranza è un’altra.
Questo libro è scritto tecnicamente bene, ma non è il capolavoro della letteratura moderna. Nonostante questo credo che in ogni caso possa considerarsi il capolavoro della vita di Fabio Volo. Nel senso che credo che in questo romanzo, l’autore abbia dato il meglio di sé. Si, il pulitzer è un’altra cosa e su questo nessuno dice niente. Tuttavia sono convinta che nel mondo della critica letteraria, Fabio Volo, abbia raggiunto purtroppo per lui una posizione troppo facilmente criticabile e che francamente non credo si meriti in toto. È vero: il numero dei suoi romanzi scritti poteva sicuramente essere minore. Non credo che altri romanzi, specialmente quelli che ho già letto e di cui posso parlare più approfonditamente, abbiano aggiunto qualcosa di diverso da ciò che lo scrittore ha detto all’interno de “Il giorno in più”. Per conto mio poteva anche scrivere solo questo e basta. Un giudizio dato con riserva, visto che di Volo non ho letto tutto. Ma questo non può e non deve essere motivo di crocifissione. Fabio Volo è un autore che un certo tipo di lettore si vergogna di dire che ha letto e questo per me è sbagliato. È sbagliato e ingiusto tanto quanto sarebbe sbagliato e ingiusto mettere le capacità narrative di Volo sullo stesso piano di quelle di Dante Alighieri o di Victor Hugo, o pensare che Alighieri e Hugo siano gli unici meritevoli di essere pubblicati.
La morale della favola, amici miei, è dunque la seguente: Signor si, assolutissimamente si! Bisogna sempre essere critici! Il che significa non criticare un’opera per partito preso solamente perché la maggior parte delle persone che incontrate sul vostro cammino danno giudizi negativi in merito a quella cosa. Questo non significa essere critici. Questo significa “darsi un tono” senza sapere cosa si sta dicendo. Questo significa seguire il gregge.
Io spero di avervi dato qualche spunto di riflessione in merito al mondo letterario e vi auguro un buon fine settimana.
Alla prossima, lettori!
-Liù

Nessun commento:

Posta un commento