venerdì 13 settembre 2019

Fantascienza - Capitolo 3


Se chiudiamo gli occhi e pensiamo intensamente al termine “storia alternativa” associato a quello di “fantascienza”, il primo nome che ci balzerà alla mente senza nemmeno sforzarci troppo sarà sicuramente quello di Philip K. Dick.
Ed è probabilmente più per la sua fama di scrittore fantascientifico che per il romanzo in sé e per sé, quindi, se abbiamo deciso di inserire “La svastica sul sole” in questa categoria.
Un romanzo che giunge fino a noi un po’ come un ibrido. Uno stile narrativo che ruba tecniche di scrittura talvolta in uno e talvolta in un altro genere, a suo comodo, giungendo ad un risultato finale notevole e originale per cui saremo sempre grati a questo autore.
Mi piacciono gli scrittori che rubano. E mi piacciono ancor di più quelli che, rubando, abbattono le barriere, shakerano ingredienti diversi in un unico mix e fanno delle loro opere dei veri e propri cocktail con cui soddisfare la mia sete di storie. Che da queste fusioni ne escano mostri, o creature magnifiche pari solo agli unicorni di leggendaria memoria e medievale tradizione, poco importa. L’autore ha qualcosa da dire e sceglie come dirlo, piegando il mondo delle parole a suo piacimento e dimostrando che l’arte del raccontare ha delle regole fatte per essere infrante.
Quindi non resta che prendere “La svastica sul sole” semplicemente per com’è, senza compromessi, né mani avanti, ma affidandoci alla stranezza di uno scrittore che ha voluto ipotizzare uno degli scenari più terribili che saremmo mai in grado di pensare: il nazismo che esce vittorioso dalla fine della seconda guerra mondiale e che trova, nella fine della guerra, il suo inizio inarrestabile alla conquista del mondo.
Uno scenario terribile, certo, ma che fino a poco prima dello sbarco in Normandia non sembrava così impossibile. Poteva succedere, si e anzi! Esistevano buone probabilità che succedesse, dal momento che Hitler, la guerra, stava per vincerla eccome. Philip Dick ha il coraggio di inscenare quell’ipotesi paurosamente plausibile e spalanca la porta anche per noi.
L’ambientazione, per tutto il romanzo, sono gli Stati Uniti. Ma i nuovi confini ridefiniscono l’assetto politico dell’America e vediamo quindi 3 zone ben distinte fra loro, all’interno delle quali agiscono personaggi diversi.
La costa ovest è dominata dall’Impero giapponese, che essendo stato il fedele alleato della Germania nazista si è spartita con essa il grande territorio statunitense. New York e la costa est appartengono invece al Reich. Da quest’ultimo territorio il lettore ne resta fuori, ma ha la possibilità di avvicinarcisi grazie a Joe Cinnadella, un ex fascista italo-americano proveniente dalla grande mela. Joe si trova negli Stati delle Montagne rocciose, gli stati centrali dell’ex America, che nell’universo di Dick fungono da stati cuscinetto tra un impero e l’altro.
Siamo testimoni di piccoli episodi diversi, ma che sono destinati a collegarsi fra di loro attraverso trame sottili, le quali hanno il sapore dello spionaggio internazionale.
I fili conduttori sono molteplici, il più importante dei quali resta sicuramente quello dell’uomo nell’alto castello, uno scrittore così chiamato perché a causa del suo libro dichiaratamente anti-nazista deve proteggersi all’interno di una dimora recintata e protetta da filo spinato, quasi come fosse un castello impenetrabile che pochi saprebbero dove trovare; una leggenda di cui nessuno, in realtà, conosce quanto al suo interno vi sia di vero e quanto di chiacchiere. “La cavalletta non si alzerà mai più” è il suo libro condannato al rogo dal Reich, che troviamo nelle dimore di molti altri personaggi, che l’hanno letto pur essendo un libro proibito e dal quale molti sono incuriositi per la trama di cui esso tratta.
Un altro filo conduttore sono i gioielli nati dalle sapienti mani dell’ebreo Frank Frink, il quale negli Stati del pacifico dominati dall’Impero giapponese cerca di sopravvivere nascondendo la sua religione come meglio può.
“La svastica sul sole” risulta essere una costellazione ricchissima di personaggi profondi, autentici, con profondità e sfaccettature diverse, che per la giovane Juliana oscillano tra decadenza e praticità; per l’illustre funzionario della Missione commerciale nipponica di San Francisco, il signor Tagomi, si trasformano in rigore e rispetto verso una tradizione millenaria e verso la propria moralità di buddista; il signor Childan, superficiale e servile, recupera un briciolo di orgoglio patriottico e ci mostra la volubilità dell’animo umano mentre lo svedese Baynes si scopre possedere molte più facce che realtà.
Leggendo questo romanzo restano essenzialmente due gli aspetti più disarmanti che si possono riscontrare.
Il primo e più importante è che Dick tende ha mostrare come le forti tensioni politiche tra Giappone e Germania ricordano neanche troppo velatamente la guerra fredda intercorsa tra le due grandi potenze politiche realmente vincitrici: Stati Uniti ed Unione Sovietica. È l’aspetto più spaventoso, letteralmente da mettere i brividi e ancora una volta, tremendamente plausibile.
L’idea che in qualche modo e per molti aspetti si giungesse alla stessa conclusione, indipendentemente da quali forze vincessero la seconda guerra mondiale, è in sé e per sé una considerazione forte, che fa riflettere e Dick mirava proprio a quello.
La storia si ripete, l’uomo è condannato a questo ciclo e morto un Hitler se ne ripresenterà sempre un altro; forse sotto mentite spoglie, sventolando una nuova bandiera, regalando un nuovo tipo di sorriso su una nuova maschera e con una nuova lingua, ma sempre di Hitler si tratterà. Ed effettivamente, se si pensa al panorama politico attuale, si scopre quanto Dick abbia guardato lontano.
Il secondo dato che possiamo osservare è che, amaramente, il romanzo non si conclude. Come lo sguardo del suo autore, “La svastica sul sole” era un libro destinato ad andare lontano, che aveva ancora molto da dire, ma che purtroppo non ha avuto questa possibilità. Dick, infatti, venne a mancare prima di riuscire a scrivere il secondo volume della sua storia e considerando la piega che aveva preso il suo romanzo è proprio il caso di dirlo: che gran peccato.
La magra consolazione che possiamo concederci è quella di metterci davanti allo schermo televisivo e goderci la serie tv ispirata a questo piccolo capolavoro, la quale ha trovato il modo di trasformare ciò che Philip Dick ci ha lasciato in chiave più moderna. Tuttavia è bene stare attenti: la serie tv “The man in the high castle” non è, anch’essa, conclusa e pare che Amazon abbia intenzione di far passare ere geologiche tra una stagione e l’altra. Così, giusto perché non abbiamo sofferto abbastanza.
“La svastica sul sole”, seppur incompleto, è un romanzo che va letto, di quelli necessari, di quelli di cui non se ne ha mai abbastanza e che, raccontando un’invenzione, è in grado di dire grandi verità.
-Liù

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