venerdì 25 ottobre 2019

Horror - Capitolo 3



Io comunque i fulmini li volevo.
Buon giorno a tutti, lettori.
Con queste amare premesse si apre la mia recensione su “Frankenstein”, della talentuosa e famosa Mary Shelly. Non pensate che non abbia apprezzato questo libro e che questa recensione verterà in negativo. Al contrario, sono piuttosto entusiasta di parlarvene e di raccontare quali aspetti di questo romanzo io abbia più apprezzato. C’è un “ma” grande come una casa, in questo discorso, ma
in fin dei conti sono contenta di cosa ho letto ed ora vi spiegherò perché.
“Frankenstein” è un romanzo la cui prima pubblicazione risale al 1818 (grazie Wikipedia!) e la cui storia è ambientata nel secolo precedente, acquistando così alcuni elementi dell’uno e alcuni elementi dell’altro secolo. In questo dato, ritengo possa esserci la sua prima, vera e importante caratteristica stilistica.
Nella trama abbiamo infatti a che fare con un giovane scienziato e medico, avido di conoscenza. Dall’infanzia fortunata e dalle prospettive future ancora migliori, Victor Frankenstein ama la vita ed è capace di vedere il bello nella natura, ma come ogni essere umano anche lui si lascia tentare dalla possibilità dell’immortalità.
Alcuni elementi della storia, come l’avidità per il pensiero scientifico ed il desiderio di superare i limiti delle capacità umane, di chiara matrice illuminista, la quale affonda saldamente le sue radici nel ‘700, si bilanciano inaspettatamente bene con quegli altri elementi che dalla seconda metà dell’800 in poi si tradurranno nella corrente romantica e che già ad inizio secolo se ne aveva gran sentore. Gli apprezzamenti e le lunghe digressioni sulla natura appartengono a quest’ultima categoria, anche e soprattutto quando la stessa natura muta a seconda del mutamento delle emozioni umane, o della drammaticità più o meno presente fra le pagine. E del resto romantici sono anche i sentimenti descritti, ancor di più l’abbandono ad essi. Pagine ricolme di sviolinate sui sentimenti di Frankenstein, che siano per questo o per quello; gioia e passione amorosa circoscritta all’ambiente familiare e terrore, disperazione, pazzia pura quando il protagonista si trova faccia a faccia coi suoi demoni, con ciò che lui stesso ha osato creare, oltre alla angoscia per aver superato dei limiti invalicabili.
Il centro di tutto il romanzo sono infatti i sentimenti umani, spesso di Frankenstein, più rari ma anche più profondi della sua creatura. Una creatura potenziata nelle sue caratteristiche umane, terrificante a vedersi, capace di sbaragliare interi manipoli di uomini, ma anche capace di amare più profondamente di qualsiasi altro uomo. Proprio per questo risulta un mostro, si, ma dal cuore fragile e facilmente condizionabile, che soffre per la sua solitudine, per la sua incapacità di vivere con gli altri quando in realtà sono gli altri a sbagliare giudicando solo le apparenze ed essendogli ostili. La creatura, che non è degna nemmeno di un nome, ha tutta la comprensione del lettore; fra gli scaffali di una biblioteca, fra le pagine del romanzo in cui abita può ricevere l’amara consolazione che, se non compreso nel suo proprio contesto, Mary Shelly gli ha dato la capacità di empatizzare con il lettore fin tanto che ci sarà qualcuno che leggerà di lui. Ci sentiamo meno vicini alla sua nemesi, Frankenstein, che pur capendolo lo riteniamo responsabile, almeno in parte, delle sue sventure.
Quando ho aperto per la prima volta questo romanzo non mi aspettavo minimamente una storia di questo tipo. È stato soprattutto lo stile narrativo a stupirmi. Avrei chiaramente dovuto tener ben presente l’epoca in cui è stato scritto, a cavallo tra due secoli così diversi e a proposito dei quali, i primi decenni dell’800 hanno fatto da veri e propri spartiacque, consacrando quel periodo storico a cento e più sfumature artistiche.
Sbagliando clamorosamente, mi aspettavo due cose che il famoso libro della Shelly non mi ha dato: la prima cosa è l’ambientazione dark, cupa e gotica del periodo vittoriano, se non addirittura dell’inizio del ‘900. Probabilmente per l’epoca sarà stata anche una storia horror e, se ben congeniata come abbiamo potuto vedere nella nostra ultima rubrica, anche in versione cinematografica non scherza. Tuttavia io preferirei parlare di storia drammatica. Il fulcro di tutto è l’orrore, si ma per i drammi e per i sentimenti della creatura creata da Frankenstein; per ciò che è in grado di fare e per ciò che l’ambiente a noi circostante è in grado di farci, dell’influenza che questo può avere su di noi.
La seconda cosa che mi aspettavo di trovare era una descrizione più tecnica della creazione del mostro. Anche qui i sentimenti e lo slancio emotivo hanno il sopravvento, in favore  di un racconto più nebuloso e drammatico piuttosto che vivido e realistico. E comunque mi sarebbero tanto piaciuti i fulmini. Dei fulmini con uno scopo, in pieno stile Frankenstein, come l’opinione comune e ignorante vorrebbe.
Lo riconosco, mi aspettavo qualcosa che non aveva ragione di essere e per ciò mi cospargo di cenere il capo, con delusioni annesse.
Detto questo ho apprezzato praticamente tutto il resto, tolto forse le descrizioni troppo lunghe sul paesaggio, ma glie le perdono volentieri, soprattutto perché la Shelly ha raccontato anche quel meraviglioso episodio lunghissimo in cui la creatura sbircia la vita domestica di una famiglia di contadini, desiderando di poter raggiungere quell’affetto e quel calore, ma essendo condannato a non poterlo mai avere.
Detto ciò approvo appieno questo romanzo, come se “Frankenstein” avesse bisogno di me per essere approvato. Ma comunque mi voglio concedere questo lusso e vi consiglio di leggerlo!
Buone letture, amici e buon fine settimana!
-Liù

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