sabato 28 maggio 2016

Letteratura internazionale - Capitolo 9


Buongiorno a tutti!
Questa settimana ho deciso di non puntare direttamente all’ultimo tag di Pearl, per evitare di annoiare troppo chi ci legge con lo stesso post ripetuto due volte di seguito. Ho preferito invece conservarlo per una delle settimane a venire, proponendovi oggi la mia recensione di “broken. Una vita spezzata”, di Daniel Clay, che guarda caso è anche il suo primo

romanzo pubblicato. Ricordatevelo, questo: il fatto che sia il primo lo considero un dato importante, perché quando l’ho saputo mi sono stupita non poco che una storia così accurata e ben scritta fosse la prima della carriera di uno scrittore. Per me è sicuramente un punto a favore di Daniel Clay. A dire la verità non so nemmeno se ne abbia scritti altri, di romanzi: ignoranza ne abbiamo? Si, ne abbiamo.
La trama non è delle più semplici, anche se racchiude un numero molto piccolo di personaggi, ma nonostante questo è tutto ben orchestrato, con un preciso filo logico e la mancanza di personaggi non si sente minimamente, anzi: pare che ce ne siano fin troppi, tanto sono accurate le loro psicologie, il vero centro narrativo di tutto il libro.
La storia racconta di Skunk, un’innocente ragazzina di undici anni e delle vicende che l’hanno portata all’ospedale in fin di vita. No, non è uno spoiler. Il romanzo inizia proprio così: con Skunk in coma, su un lettino ospedaliero. Non sappiamo se vivrà, oppure no, ma i presupposti non sono dei migliori.
Il quartiere dove Skunk abita col padre, il fratello e la ragazza alla pari Cerys vive una situazione alquanto complicata: la sua famiglia, quella del vicino Rick Buckley, così come tutte quelle presenti nei dintorni, sono costantemente tormentate dall’impetuoso Bob Oswald, padre single di cinque figlie femmine, bullo e manesco, il quale tiranneggia su tutto il vicinato e offre un perfetto esempio delinquenziale alle sue ragazze, che a loro volta aggrediscono prepotentemente i loro coetanei per ottenere qualsiasi cosa esse vogliano. La situazione, precaria già in partenza, si aggrava quando una delle ragazze Oswald, temendo una reazione violenta da parte del padre nei suoi confronti, mente al genitore dichiarando di aver avuto un rapporto sessuale con Rick Buckley. Da “rapporto sessuale” a “stupro”, per Bob Oswald il passo è breve, ancora di più quello da “stupro” a “ti ammazzo di botte” e in questo modo, Rick Buckley, ragazzo tranquillo e fragile che non ha nuociuto mai a nessuno, si ritrova vittima di un pestaggio senza sapere bene perché. Un evento, questo, che segnerà il ragazzo a vita e che lo porterà a rinchiudersi nella sua stanza senza contatti col resto del mondo, nemmeno coi suoi genitori, disperati e impotenti di fronte alla perdita di sanità mentale del figlio. Rick Buckley perde il suo nome e ne acquista uno nuovo: Broken Buckley. Spezzato. Il ragazzo andato fuori di testa e mai più tornato come prima, grazie ad uno stupro mai avvenuto. La famiglia Oswald continua a fare ciò che vuole, senza curarsi delle vittime che si accumulano alle sue spalle e Skunk, acuta osservatrice della realtà che la circonda, non sarà solo una spettatrice impotente, ma anche una vittima degli eventi.
Il quartiere e i personaggi che lo vivono possono benissimo essere quelli vissuti in prima persona dal lettore. Skunk è una bambina come tante, in un quartiere come tanti a cui è capitato qualcosa di terribile che sarebbe potuto capitare a chiunque. Questo è il pensiero sconvolgente che mi ha attraversato la mente quando ho letto “broken”: che una cosa che non dovrebbe succedere a nessuno, potrebbe invece capitare a chiunque. Il secondo pensiero che ho fatto è stato quello di pensare che la mancanza di certe responsabilità da parte delle istituzioni non significa solo incompetenza e mal funzionamento delle regole all’interno di una comunità, ma significa anche permettere che il forte prevalga sempre sul debole, a prescindere da quale delle due parti abbia ragione. Il terzo pensiero, invece, è stato: “Caspita, è proprio vero”. È proprio vero che il carnefice non è il solo colpevole, ma anche chi non fa niente per evitare che certi atti di prepotenza e certe tragedie succedano e rimangano impuniti.
La cosa ancora più sconvolgente, anche se è difficile crederlo, è che se è Daniel Clay a descrivere gli eventi  risulterà impossibile provare rabbia per chi ha portato una ragazzina di undici anni in una simile situazione. Lo scrittore ci trascina così insidiosamente nella psicologia del colpevole e di tutti i personaggi da non riuscire a condannare in modo così lucido come avremmo fatto se avessimo letto la storia su un comune quotidiano, nella sezione della cronaca nera. La linea tra giusto e sbagliato, soprattutto tra buono e cattivo, che solitamente ci appare così netta nella vita di tutti i giorni, qui cede totalmente e tutto si mischia e sovrappone in un coro di punti di vista scomodi che non vogliamo vedere, che ci disturbano, perché certe situazioni non le vogliamo provare, né sentire: lungi da noi provare pietà, mostrarsi deboli, compassionevoli, giusti. Molto più facile farci pervadere dalla rabbia, cercare un capro espiatorio e puntare il dito. Proprio come ha sempre fatto il personaggio di Bob Oswald nel corso della sua esistenza. In questo, Daniel Clay dimostra un’ironia piuttosto macabra, ma anche molto intelligente, ricordando che proprio uno dei maggiori responsabili dei fatti raccontati ha agito impulsivamente, stupidamente, prepotentemente e con rabbia; proprio ciò che a noi disturba leggendo “broken” e proprio ciò che contemporaneamente risulta essere la nostra prima reazione.
Fortunatamente ho letto il libro prima di vedere il film, il quale nonostante la presenza di Tim Roth e Cillian Murphy, due attori secondo me straordinari, riesce a prendere poco della potenza del libro. Non penso sia un problema riguardante le scelte registiche, tra le quali vorrei anche far notare una colonna sonora niente male e molto adatta alla storia raccontata. Credo invece che il motivo principale per cui il film non mi abbia colpito così tanto quanto il libro riguardi proprio la storia in sé. Il testo scritto mi ha permesso di entrare davvero nella testa di alcuni personaggi, di capire i loro meccanismi mentali, consegnandomi un’opera potente e pericolosa. Un romanzo che è come un’arma, un’arma a doppio taglio che ferisce e fa male. La qual cosa è probabilmente stata la meta finale dello scrittore e sono contenta che l’abbia fatto.
Consiglio questo romanzo agli amanti del thriller, anche se non si può esattamente considerare un romanzo thriller e agli amanti della psicologia, anche se non si può esattamente considerare un romanzo psicologico.
Vorrei dire che non lo consiglierei ai deboli di cuore… Ma mentirei, perché lo consiglierei anche a loro!
Buona serata e buon fine settimana
Alla prossima!

-Liù

Nessun commento:

Posta un commento