venerdì 6 ottobre 2017

Letteratura internazionale - Capitolo 18



Buongiorno a tutti!
È iniziato ottobre, il mio mese preferito in assoluto! Sono entusiasta sia del clima che del periodo. Non so voi, ma l’autunno è la mia stagione preferita, sia per le temperature non troppo fredde sia per i colori e, inoltre, diciamolo pure chiaramente, il caldo di questa estate era durato a sufficienza!
Almeno per me che sono un po’ asociale e amo stare a leggere seduta
sul letto, con la coperta, il gatto addormentato sulle gambe e una tazza di tè.
E proprio di gatti andremo a parlare oggi. Ebbene sì amici, i gatti stanno diventando la mia ossessione, e dopo avervi parlato di libri sui gatti (4 per la precisione!) ci ho voluto riprovare.
Perché “Io e Dewey”, “Il gatto in noi”, “Orso” e “Quattro gatti” non erano sufficienti a colmare il mio spirito profondo di gattara mancata (almeno per il momento, ma in futuro, chi può dirlo?). Per questo motivo eccoci di nuovo con titolo felino: “Io sono un gatto” di Natsume Sōseki.
Come il nome dell’autore potrebbe farvi pensare si tratta di letteratura orientale, per la precisione giapponese. Non avevo mai letto nulla del genere, ma ne avevo sentito parlare, e infatti sono partita con un’idea abbastanza precisa: un racconto dettagliato, molto “interiore” o “spirituale”, lento. Molto lento.
Trama: il libro viene raccontato in prima persona dal gatto protagonista, un gatto senza nome, perché il suo padrone non si è mai preso la briga di dargliene uno, tanta è la considerazione che ha di lui. Vive in Giappone con questo padrone di nome Kushami, di mestiere professore, e con la sua famiglia (moglie e tre figlie piccole).
Ciò di cui questo gatto parla può essere diviso in due settori: dei monologhi sulla propria vita e sulla vita umana e i racconti dei discorsi tra il padrone e gli amici che gli fanno visita.
Mi sento i dire che non esiste una vera trama, ovvero non è una storia con un inizio, uno svolgimento ed una fine o conclusione, è più che altro una analisi della vita umana e dell’uomo, con un occhio o uno sguardo filosofico, messo in atto dal nostro piccolo gatto nero.
Parlando dello stile posso dirvi che rispecchia perfettamente la mia idea di libro orientale: molto lento, con descrizioni fatte bene, studiate ma estremamente lento nei passaggi, considerando anche che di passaggi, avvenimenti non ce ne sono molti. Infatti noi occidentali, diciamo così, siamo abituati a libri molto più scorrevoli, con una serie di eventi che si susseguono, approfonditi solo fino ad un certo punto. Viene detto il minimo indispensabile affinché il lettore capisca cosa c’è sotto. Questo libro è invece molto più prolisso, e devo dire che più volte mi sono addormentata leggendolo, sicuramente anche perché la sera era l’unico momento in cui potevo farlo e ciò ha facilitato la mia caduta nel mondo onirico. Detto questo lo stile resta comunque molto bello, chiaro e dettagliato con riferimenti alla cultura giapponese affascinanti e spiegati bene. In fondo al romanzo si trova infatti un glossario con molte parole giapponesi usate nel libro, in quanto sono comuni per l’autore, ma per chi come me non sa nulla sul Giappone sarebbero potute essere un elemento negativo, che avrebbe potuto pregiudicare la comprensione del testo.
Ci sono inoltre delle note che spiegano i riferimenti agli avvenimenti storici e letterari citati lungo la storia.
I personaggi sono molto particolari a partire dal padrone fino ad arrivare ai suoi amici. Il primo è veramente insopportabile, almeno per me, un uomo che crede di essere particolarmente intelligente perché riveste la carica di professore di inglese e si vanta e si sente superiore a chiunque altro. Si dimostra essere nel orso del romanzo arrogante, egocentrico e fannullone, anche se mantiene la dote dell’onestà. Meitei, uno dei più cari amici non fa altro che raccontare frottole o esagerazioni, fa scherzi in continuazione e non sta mai zitto. Tutti gli amici che compaiono sono caratterizzati in modo differente e, anche se alcuni sono fastidiosi, li ho apprezzati.
Il gatto resta invece il mio personaggio preferito: l’autore sfrutta l’animale per parlare dell’essere umano con una critica da un lato dura, perché parla delle debolezze e degli aspetti negativi dell’essere umano, ma riesce a farlo mantenendo un certo livello di leggerezza. Riesce a portare il lettore al sorriso mentre legge e forse a volte, si riconosce anche nelle critiche, o riconosce in esse qualcuno di vicino a lui.
Voglio riportarvi alcune di queste riflessioni feline che mi sono piaciute in modo particolare:

“L’antico motto ‘i simili con i simili’ è proprio vero: i bottegai sono bottegai e i gatti sono gatti, e quindi il mondo felino lo possono capire soltanto i gatti. Con tutto il loro progresso, gli uomini non arrivano a tanto, perché in realtà sono molto meno avanzati di quanto credano, e questo rende le cose tanto più difficili. Chi soprattutto non ha speranza è quel campione di insensibilità del mio padrone, perché non si rende conto che per capirsi fino in fondo l’un l’altro, l’essenziale è l’amore.”

O ancora:
“A questo punto, benché sia soltanto un gatto, intuisco una verità profonda: è l’occasione che induce tutti gli esseri viventi a fare quel che non desiderano.”

“L’inventore dello specchio avrà la coscienza sporca […]. Tuttavia, quando si è scontenti di sé non c’è rimedio più efficace che guardarsi allo specchio. Si ha una immediata e chiara percezione del bello e del brutto. Ci si meraviglia di aver vissuto fino a quel momento mostrando al mondo una tale faccia.  E quest’improvvisa consapevolezza è un momento prezioso nella vita di una persona. Nulla è più utile all’essere umano che la percezione della propria stupidità. Davanti ad uno stupido che sa di esserlo, tutti coloro che hanno un’alta opinione di sé dovrebbero scusarsi e abbassare la testa per la vergogna.”

“Situazioni di questo tipo si verificano spesso, un uomo crede di aver vinto perché ha ottenuto ciò che voleva, senza cedere, ma intanto il suo valore in quanto persona è calato. La cosa strana è che gli ostinati per tutta la vita considerano la loro testardaggine una qualità, e il dubbio che la gente possa disprezzarli, possa non considerarli degli interlocutori validi non li sfiora nemmeno. Sono creature felici. Di quella che pare venga chiamata ‘la felicità dei maiali’.”

“È difficile pensare che gli uomini siano dotati di tanta comprensione e sollecitudine. Di quando in quando versano qualche lacrima e si mostrano addolorati per rispetto delle relazioni sociali, un tributo da pagare per essere nati nel consesso umano. In realtà è tutta una finzione, una manifestazione di ipocrisia, arte che richiede un notevole impegno. Ai simulatori più abili viene attribuita una forte coscienza artistica e tutti li tengono in grande considerazione. Ne consegue che coloro che godono di alta stima sono umanamente i più sospetti.”

Insomma, questo gatto attraverso l’osservazione degli uomini ne comprende vari aspetti, ne scopre le caratteristiche peggiori ma anche quelle positive. Nonostante egli veda tutti questi difetti nel suo padrone, o tramite lui, egli lo rispetta e in parte arriva a somigliargli.
Tutto questo sembra una buona spiegazione ai comportamenti che i gatti mettono in atto normalmente; chi ha un gatto o ne ha avuto uno condividerà con me, e forse anche con l’autore, che essi danno sempre l’impressione di riflettere e di giudicare quello che si sta facendo. Sembra che ti considerino uno stupido, uno sciocco. Di contro però, anche se molti non lo pensano, e di solito sono coloro che non hanno mai avuto un gatto a pensarla così, i gatti amano i loro padroni.
Arriviamo alla nota dolente di questo libro: la fine. Non farò spoiler ma mi ha molto deluso. Anche se resta in linea con il resto del romanzo l’ho trovata troppo sbrigativa e rapida. Una parte di me lo capisce, l’altra l’ha veramente odiata.
Nonostante il finale però, non posso fare altro che consigliarlo. Certo vi consiglio di leggerlo in un mood adeguato: magari non la sera o se siete particolarmente stanchi.
Approvato, anche se con l’amaro in bocca.

-Pearl

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