lunedì 30 ottobre 2017

Teatro - Atto IV



Buona sera, lettori e benvenuti nei giorni più paurosi dell’anno, quando il mondo dei vivi si mischia al mondo dei morti e della magia!

Proprio per questo ho deciso di parlare della tragedia che mi ha trasmesso più inquietudine in assoluto, ovvero “Macbeth”. Ebbene si: ancora una volta Shakespeare, ma non c’è da temere la noia, con lui, perché ogni opera è unica nel suo genere. Parte di una grande visione del mondo, univoca ed esaustiva, che segue lo stesso filo conduttore, i testi di Shakespeare sono, allo stesso tempo, carichi di una potenza particolare, specifica e speciale per ciascuno; una penna in grado di far scattare ogni volta una serratura diversa dell’animo umano, anche se sempre con la stessa chiave, con lo stesso metodo e gli stessi principi.
“Macbeth” è forse uno dei veri capolavori, una delle tragedie più complete e mature ed è un’analisi tragica, truculenta, terrificante, triste e decisamente veritiera della ricerca umana del potere, del desiderio di esso e delle conseguenze che ne derivano.
La storia dello scozzese Macbeth, al quale viene predetto che diventerà Re e che sembra avere, attraverso l’assassinio, il potere di concretizzare con la sua stessa volontà tale predizione, lascia tutt’oggi in stato di shock. Shakespeare ha maneggiato il tema del destino come se stesse sbucciando un’arancia. Un argomento che esiste a suo uso e consumo e nei confronti del quale può farci ciò che vuole. Volere è potere e Macbeth vuole, anche se non sarà mai pronto ad accettarne le conseguenze; un gran contributo alla sua rovina. Ha rimorsi di coscienza e ripensamenti, ma continua nella sua inarrestabile scalata verso l’alto, come se fosse una gazza ladra davanti a qualcosa che luccica, dimenticandosi valori e principi. Così è l’uomo in sé e per sé, ci dice l’autore. Macbeth era un soldato valoroso e un uomo d’onore, ma è bastato mettergli una pulce nell’orecchio per fargli sporcare le mani di sangue senza battere ciglio. Le lacrime di coccodrillo e le insicurezze servono a poco, perché oramai l’anima del protagonista è macchiata e al calar del sipario non si riesce a credere che ne valesse la pena. Tanto basta, tuttavia, al genere umano: per un briciolo di potere in palmo di mano ci si dimentica di averla, questa tanto decantata umanità.
Ho immaginato tutte le opere teatrali che ho letto sul palcoscenico, tra effetti speciali enormemente carichi di stupore antico e attori dalla grande espressività. Con “Macbeth” tutto ciò non è successo. Non saprei neanche dirne il motivo, ma mi è sempre sembrato un segnale estremamente positivo. In questo caso lo spazio della recitazione, quindi della verità, è diventato un enorme ambiente verde, all’aperto, nella natura incontaminata della Scozia. La prima scena è dominata delle tre streghe che poco dopo prediranno a Macbeth il suo destino e io le ho immaginate come tre pazze nella brughiera, sotto un cielo grigio, circondate da un misticismo che può appartenere solo a un mondo ultraterreno: la solennità di una magia che, estranea e lontana da noi, ascolta e osserva il mondo degli uomini e ne trae le dovute conclusioni.
La mia mente è stata capace di uscire dal teatro e di mettersi in un luogo insicuro, poiché senza confini definiti. Come quest’opera abbia operato sulla mia psiche resta ancora un mistero, per me. Certo è che la potenza, tanto letteraria quanto reale, di questa tragedia è enorme e si sente in ogni parola.
Perché nell’ultimo film di “Macbeth”, con Michael Fassbender e Marion Cotillard, le battute sono state trasposte parola per parola, non potevano cambiarle per un pubblico dal gusto mutato?
Questa, più o meno, è stata la difficile domanda rivoltami dal mio ragazzo subito prima di stoppare il film e cambiare visione. Accidenti a lui, prima o poi me la pagherà cara! Tuttavia la risposta è presto detta: perché Shakespeare non muta. Shakespeare è eterno. Come al solito quando parlo di Shakespeare, mi preme sottolineare il fatto che la sua grandezza e la sua epicità dipendono principalmente dal fatto che sia stato capace di fornirci una sempre grande attualità in ogni tema portato sotto i riflettori e in ogni discorso affrontato. Così è anche in questo caso e non mi stancherò mai di trovare occasioni per dirlo.
Quanti uomini che si credono o vengono creduti fra i più onesti e limpidi, al giorno d’oggi, sarebbero capaci di macchiare la propria anima per la carriera o il denaro? Esatto, moltissimi.
Oltre a questo, bellissimi e profondi i personaggi femminili, dalle tre streghe che quasi formano un personaggio unico – messo apposta li per simboleggiare il fato – e Lady Macbeth, bistrattata in lungo e in largo, portata alla follia e morta suicida per colpa dell’autore prima che del pubblico. Eppure Lady Macbeth è stato un personaggio immortale e senza precedenti, torbido e irresistibile come la tentazione del potere. Una moglie devota, da cui ci si aspetta che incarni le virtù più che le tentazioni e che per questo ha il tempo di insidiarsi, indisturbata, nella mente del marito e di diventare la causa principale della sua malvagità. In poche parole: un personaggio-simbolo straordinario.
Leggete Shakespeare e leggete “Macbeth”. È un consiglio spassionato e fra i migliori, credetemi. Non abbiamo molto che possa eguagliare un frutto così carico di succo e sapore. “Macbeth” ha tutta la mia ammirazione e l’avrà sempre. Concludo così, sperando di avervi interessato e invogliato alla lettura! Vi auguro buona serata, lettori e alla prossima!


-Liù

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