martedì 3 ottobre 2017

Romanzo rosa - Capitolo 6


Buona sera bella gente!
La zia Diana è tornata a trovarci! La zia un po’ marpiona e con la borsa piena, in egual misura, di caramelle e racconti sconci. Si: proprio lei! Eccola di nuovo fra noi! Probabilmente ha sentito il richiamo della serie tv tratta dai suoi libri, tornata con la terza stagione giusto poche settimane fa.
E zia Diana lo sa!

Lo sa che passo le mie serate a guardarla!
Con la serie tv siamo ancora indietro, io e le mie recensioni invece ci troviamo leggermente più avanti.
Non preoccupatevi: questa collana è così lunga che c’è abbastanza tamarraggine per tutti.
Riprendiamo, quindi, da dove avevamo lasciato l’ultima volta, sul blog. L’ultima volta il racconto si era interrotto al principio dell’adunanza dei clan scozzesi in America. Per l’appunto, “La croce di fuoco” è proprio da qui che apre il sipario.
“La croce di fuoco” e “Vessilli di guerra” costituiscono il quinto capitolo di questa saga, ma dal momento che il primo volume conta ben 804 pagine ed è quindi uno dei volumi più spessi, utilizzerò questa recensione per parlare solo di esso, preoccupandomi poi più avanti di fornirvi le mirabolanti narrazioni di “Vessilli di guerra”. Magari cercherò di pubblicarli uno dietro l’altro o comunque a distanza ravvicinata.
Torniamo a noi! Il racconto di questa ormai famosa adunanza dura tantissimo e si appropria di tutta la prima parte del libro. Tutto sommato è stata una parte abbastanza godibile e ben bilanciata tra momenti più grevi e momenti più leggieri. È qui che il figlio di Roger (forse) e Brianna verrà battezzato con rito cattolico e loro sposati con rito protestante; è qui che Fraser’s Ridge troverà una degna cuoca per la casa padronale e – nel di lei marito – un fedele servitore; è qui che Jocasta Cameron continuerà, come sempre, i suoi giochi di potere ed è qui che cominceranno ad intravedersi le ombre di una guerra civile imminente.
Vi risparmio la lista infinita di nomi, cognomi e pronomi  che salta fuori man mano che si aggiungono i libri, ma c’è da dire che ho apprezzato particolarmente il “can can” di Jamie in merito ad una guerra di cui, grazie alla moglie venuta dal futuro, già né conosce gli esiti. Dico “can can” proprio perché, nonostante le previsioni dal futuro, il nostro scozzese preferito si troverà comunque sul filo di un rasoio molto affilato, avendo assicurato al governatore inglese il suo sostegno in battaglia, in cambio della terra su cui lui e Claire hanno costruito la loro casa nelle Americhe. I tentativi di giostrarsi tra il passare dalla parte giusta della barricata e il cercare di mantenere la proprietà – oltre agli esami di coscienza che Jamie è costretto a zittire per aver salva la sua vita, quella della sua famiglia e della realtà che ha ricostruito e riconquistato dopo tanto tempo – sono probabilmente le cose che ho apprezzato di più. Anche perché la guerra in procinto di abbattersi sui protagonisti rievoca la guerra passata in Scozia, soprattutto a Culloden e tale assonanza permette ampi spazi di sviluppo a riflessioni profonde che fino a questo momento, in un libro della Gabaldon, ci eravamo sognati di leggere.

…ma i combattimenti sono una parte così minima della guerra…

Più di una volta ho trovato interessanti dei discorsi in merito alla guerra, alla figura del soldato e a quella dell’esercito che credo non debbano essere sottovalutati, soprattutto in un libro che, come ho più volte ripetuto, è sempre stato: “Una storia d’amore. Punto”. Ora comincia a non esserlo più, o meglio: a non essere più solo una storia d’amore.
L’aggiunta dei risvolti riflessivi, però, sembra essere direttamente proporzionale alla noia delle lunghissime parti descrittive in cui, in barba ad eventuali esigenze di trama, non succede nulla e nessuna foglia si smuove. Non siamo certo ai livelli di “Tamburi d’autunno”, che fino ad ora si è qualificato ufficialmente come la parte più morbosamente pallosa dell’intera saga. Tuttavia si fa sempre più strada l’idea pessimista che Jamie e Claire, come personaggi, abbiano dato ormai tutto ciò che dovevano e potevano dare e che per loro non ci sia più possibilità di sviluppo, quindi di entusiasmo da parte del lettore. L’interesse, ora, viene deviato verso un sotto-insieme di personaggi secondari, quali il giovane Ian, Roger, Fergus e molti altri, le cui storie sono ancora in alto mare e tutte da sviluppare. Diciamo che do a loro la colpa della mia costanza e perseveranza con questa storia. In ogni caso posso dire che sia proprio questo sviluppo verso una sorta di filosofia ancora spiccia ad aver plasmato la grande novità dell’ottavo libro (ottavo nella versione italiana).
Gli aspetti che invece non sono cambiati e che da sempre caratterizzano lo stile della Gabaldon sono: l’attenzione storica costantemente presente in tantissime parti del libro, anche solo nel titolo di questo volume, il quale descrive un’usanza tipicamente scozzese che negli Stati Uniti, storicamente, ha portato all’utilizzo di croci infuocate da parte del ku klux klan e la caratterizzazione decisamente accurata dei personaggi, cosa che ho sempre apprezzato e sempre apprezzerò. Una dimostrazione di tale attenzione viene data, infatti, nei capitoli 46 e 47, dove si mette in luce il rapporto vissuto tra Claire e Frank, il suo marito del futuro ormai morto. Mi è piaciuto molto il fatto che Claire, nonostante tutto, dimostri di provare ancora qualcosa per Frank. Che lui abbia il suo spazio nel suo cuore e che la Gabaldon continui a ricordarcelo, quasi come se Claire non potesse amare Jamie senza amare Frank perché lei è una e i sentimenti che prova per Jamie partono dalla stessa persona che li ha provati per Frank.
Sia chiaro, non è che i momenti truzzi e le scene da soapopera vengono a mancare! Come potrebbero! Stiamo pur sempre parlando di Outlander, giusto? E da un libro che inizia con un’adunanza ingombrante e finisce con un matrimonio ancora più sfarzoso non possiamo fare a meno di sentirci in una telenovela brasiliana, soprattutto perché il matrimonio in questione è della zia di Jamie: la vecchia e ceca zia Jocasta Cameron, la quale ha deciso di sposare l’amico di suo nipote, Duncan. E se bastasse solo questo per appagare la Gabaldon ci andrebbe anche bene, ma no! Avevamo bisogno anche del tentativo di omicidio durante la cerimonia. Più di così non si poteva fare… Tranne scrivere “Odore di maschio” ogni tre per due e avere due vecchini come protagonisti che in camera da letto ci danno dentro come dei ragazzetti.
“La croce di fuoco” non è costituita da molta azione, quanto piuttosto da intrighi e sotterfugi, per cui sulla trama non ho molto da dire, tranne forse per il fatto che proprio qui si verrà a scoprire che la tomba di Jamie, scoperta da Claire negli anni sessanta, non è nient’altro che un falso, messo appositamente li da Frank, senza che la sua adorata mogliettina lo sapesse. Caro ragazzo, Frank! Ma visto che ha avuto una vita misera, poveretto, gli si perdona anche questo.
Bon, io il mio dovere l’ho fatto! Voi che dite? La state guardando la serie tv? Non fate gli scettici: sono seria quando dico che merita tutto il successo che sta facendo.
Io spero di ritrovarvi ancora con me e la zia Diana, per riprendere la storia più trash del circondario.
Nel frattempo vi auguro buona serata e buon inizio settimana! Alla prossima, lettori!


-Liù

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