venerdì 14 dicembre 2018

Letteratura americana - Capitolo 9




Buongiorno a tutti.
La giornata di oggi è dedicata ad un libro scoperto per caso, sullo scaffale di una biblioteca e che mi ha portato a scoprire l’autrice per la prima volta: Toni Morrison. Il suo vero nome è Chloe Anthony Wofford, dona afroamericana nata nel 1931, che ha insegnato letteratura e scrittura creativa nelle più importanti università, da Yale a Princeton, dalla Berkeley ad Harvard.
Ha scritto poi numerosi romanzi che l’anno portata nel 1988 a vincere il premio Pulitzer con “Amatissima” e nel 1993 il Nobel per la Letteratura, divenendo così la prima donna di colore a vincere tale premio. La motivazione della scelta è la seguente: “Che in racconti caratterizzati da forza visionaria e rilevanza poetica dà vita ad un aspetto essenziale della realtà americana”.
I suoi libri hanno come tema di base la vita degli afroamericani e della perdita d'identità dei neri in quegli anni che hanno segnato la storia americana e che ancora oggi ricordiamo grazie alle battaglie per i diritti e a personaggi come Martin Luther King.
È una cosa che mi lascia sempre un po’ basita, la scoperta di tutto quello che sta al di là della mia consapevolezza. Non sapevo dell’esistenza dell’autrice, ma per carità, non posso conoscerli tutti, però non sapevo nemmeno che avesse vinto il Nobel per la letteratura e nemmeno che fosse stata la pioniera dei Nobel assegnati alle donne di colore. Per ora è l’unica, ma non si può sapere cosa accadrà in futuro.
Il titolo che mi ha dunque permesso di scoprire la scrittrice è “Prima i bambini”, il racconto di una donna afroamericana giunta al successo dopo un’infanzia travagliata, scandita dal rifiuto di un padre che l’ha abbandonata e da una madre che non ha mai accettato il colore della sua pelle, molto più scuro della sua. Nella sua vita però, giunta all’età adulta, scoprirà di non aver superato ed elaborato quanto le è accaduto e ciò l’ha portata alla ricerca dell’affetto che non aveva mai ricevuto, pronta a tutto per ottenerlo.
Per quanto riguarda lo stile utilizzato dall’autrice risulta doveroso dire che è un romanzo scritto bene, e questo si evince sia dalla scorrevolezza del racconto, sia dal fatto che non è possibile staccare gli occhi dalle pagine durante la lettura. È una storia coinvolgente, drammatica ma al tempo stesso non appesantisce il lettore dal punto di vista emotivo. Ho letto libri che mi hanno costretto a fermarmi, fare delle pause per elaborare le svolte e gli elementi più drammatici, questo invece riesce a descrivere esperienze traumatiche senza però traumatizzare il lettore. Lo trovo un grande pregio.
Tiene incollati alle pagine ma non come farebbe un thriller, con l’adrenalina che sale sempre di più per scoprire e trovare l’assassino, e perché no capirne le motivazioni. È un libro che si legge in modo scorrevole per il piacere di farlo, per come è scritto e per come racconta la trama. Non c’è adrenalina, ma una grande calma ed una forte curiosità.
Credo inoltre che sia riuscita a descrivere dei personaggi molto reali e molto veritieri sia dal punto di vista emotivo che da quello comportamentale. In particolare il bisogno di affetto della protagonista, Bride, quasi compulsivo, e il bisogno di allontanare tutto e tutti di Booker, il suo amante. Sono reazioni perfettamente normali, che tutti noi possiamo riscontrare nella vita quotidiana e che, probabilmente abbiamo anche utilizzato nel corso della nostra esistenza.
Il tema trattato in questo romanzo è oltretutto molto importante, soprattutto ai giorni nostri: l’importanza di curare i bambini e di prestarvi molta attenzione, soprattutto all’aspetto educativo. “Quello che fai ai bambini conta. E loro non lo dimenticano più”. Una verità assoluta, sia nel bene che nel male, e quello che gli viene insegnato ma soprattutto dimostrato con il comportamento o con l’esempio influenzerà la loro vita per sempre. Provate a pensare a tutte quelle volte che avete fatto o detto qualcosa di sbagliato, crudele, volgare o quant’altro di fronte ad un bambino, pensando che “Tanto è troppo piccolo per ricordarselo”, oppure “Tanto gli ho insegnato che le parolacce non si dicono, quindi lui non le userà anche se le sente da me” o mille altre giustificazioni. Sono sicura che è capitato a tutti, e a volte si sbaglia, anche credendo di fare del bene, ma ciò che è fondamentale è avere un senso di responsabilità forte e stabile, soprattutto verso i bambini, figli nostri o no.
Il futuro dei nostri figli, come minimo il 50%, è nelle nostre mani, ed è importante tenerlo bene a mente. Una volta cresciuti, o lungo il loro percorso di vita starà a loro scegliere se restare prigionieri del passato e delle esperienze traumatiche o liberarsene, sfruttando la loro resilienza e liberandosi dalle colpe dei genitori che rischiano di schiacciarli per sempre, togliendogli la serenità e la speranza.
Alt. Con questo non voglio dire che dire una parolaccia davanti al proprio figlio gli rovinerà la vita, ma che sono le piccole cose, che diamo per scontate e magari facciamo a fin di bene, ad aumentare il rischio. Chiaramente il libro fa riferimento a fatti molto più gravi, ma prestare attenzione alle nostre azioni quotidiane impedirà di esondare in comportamenti peggiori e pervasivi.
Provate ora voi a rispondere alla domanda: lo consiglio?
Buona lettura.
-Pearl

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