venerdì 21 dicembre 2018

Letteratura tedesca - Capitolo 2



Buonasera, miei diletti lettori.
Lo sentite questo continuo e bucolico rumore di archi di violino in sottofondo? Bene, allora non sono l’unica pazza. Oppure si, visto che sto parlando con lo schermo del mio computer. Comunque il motivo di ciò è sicuramente del libro che sto per recensire.
Si, perché “I dolori del giovane Warther” è pieno di sviolinate, soprattutto di sviolinate in mezzo alla natura e detto con tutta franchezza non so più dove andare a sbattere la testa per riuscire a finirlo.
Eppure è un libro minuscolo, che supera di poco il centinaio di pagine, ma devo proprio ammettere che non riesco più a leggerlo.
Certo, essendo il libro cardine del pensiero romantico, unica vera culla dell’indiscusso Sturm und drang, salto e tempesta, il motto dei poeti pre-romantici, sarebbe quanto mai doveroso portarlo nell’insieme delle letture di cui vantarsi in ogni circolo letterario che si rispetti.
“Ma guavdi, fvancamente ho tvovato Goethe semplicemente pevfetto!”.
La verità, miei cari signori, è che non credo proprio che Goethe sapesse quale importantissimo simbolo sarebbe diventata la sua breve storia epistolare ambientata nella campagna di fine settecento. Può darsi piuttosto che abbia raccolto le tendenze del tempo in un unico romanzo, o che a posteriori si sia fatto portavoce di una certa idea poetica, allora si! Ma nel periodo incerto di passaggio tra il secolo dei lumi e quello successivo vittoriano, dove il neoclassicismo poteva fondersi con il pre-romanticismo e tutto si confondeva in un mix di vestiti taglio impero e cortesie per gli ospiti, ritroviamo questo libro come un grande esempio di sperimentazione, più che come un’opera suprema che esaurisce in sé ciò che la sua corrente letteraria aveva da dire.
“I dolori del giovane Werther” non è il clou, il non plus ultra, quanto piuttosto il mettersi in gioco dei primi anni e per l’appunto la sperimentazione vera e propria. Sperimentazione della nuova visone del mondo, del trasporto del sentimento perfettamente in linea con gli eventi climatici, che danno alla natura un ruolo nuovo; non più mero sfondo per le vicende umane, ma quasi un personaggio a sé, che delle volte esprime le emozioni degli altri personaggi più delle parole stesse e delle volte invece, come madre severa, si mostra in tutta la sua grandezza, decisa a dimostrare agli uomini tutto il suo potere. (strizziamo l’occhietto a Leopardi? Ciao Giacomino, come te la passi? Probabilmente si sta rivoltando nella tomba).
Dunque si: ciò che viene messo in luce prima e sopra qualsiasi altra cosa sono senza dubbio i sentimenti, abbelliti dai più complicati fronzoli lessicali. Sviolinate, sviolinate ovunque. E perché, mannaggia a me, non me l’ero aspettato? Come altro poteva essere scritto l’emblema del romanticismo?
Purtroppo credo che la cosa che mi abbia veramente fregato, come ho già più o meno detto precedentemente, è stato il fatto che questo secondo me è un libro di sperimentazione e non il capolavoro supremo.
Ho mal sopportato Carlotta, l’eroina femminile apparentemente perfetta e impossibile da raggiungere; ho mal sopportato il protagonista, che mentre dichiara fermamente di non amare i fronzoli in favore di chi va dritto al sodo, divaga su un batticuore, o sospira su una felce. Ho fatto molta fatica. Ho fatto fatica anche ad immedesimarmi nel periodo storico, il quale sicuramente avrà visto quest’opera in modo particolare. Posso immaginarmi una Mis Austen, immersa nella lettura, ma non ho idea di cosa direbbe.
Comunque vi dirò anche questo, miei cari lettori, “I dolori del giovane Werther” non è di certo privo di aspetti positivi. Lo stile di scrittura non rientra nei miei gusti personali, ma è certamente degno del nome che porta la copertina. Mi rendo conto che la cosa importante, in quest’opera, era quella di far mostra i tempi principali del romanticismo: la natura, la fede, i sentimenti e soprattutto l’amore. Probabilmente sono stati esposti su terreni lessicali già esplorati e conclamati, che però qui hanno avuto il gusto per una sorta di potenziamento del trasporto sentimentale; un trasporto sentimentale super sayan, per capirci.
Un altro dato che penso sia positivo, oltre che molto importante, è il fatto che credo fermamente sia un libro da leggere in piena adolescenza. Esattamente come “La metamorfosi” credo che Goethe sia stato in grado di centrare delle tematiche e delle modalità care anche ai ragazzi e che gli stessi siano perfettamente in grado di capire, forse più di noi ormai vecchietti, un certo tipo di empatia e comunione con la natura.
Insomma, quel “giovane” presente nel titolo vorrà pur dire qualche cosa!
Quindi questa settimana vi lascio così, nel limbo di un fenomeno letterario epico che mi ha lasciato tante perplessità. O forse sono io che, oltre al pazza, sto diventando anche molto più polemica.
Buona giornata, buone letture e buon fine settimana! A presto!


-Liù

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