venerdì 27 aprile 2018

Narrativa - Capitolo 9



Buongiorno signori!
Avete mai letto qualcosa di più triste di “Venuto al mondo”? Probabilmente si, ma io faccio fatica a immaginarmelo. Decisamente il libro più pesante a livello emotivo che abbia letto in quest’ultimo periodo. Lo ammetto, è stato difficile da digerire. Una pugnalata allo stomaco veramente tosta.

Lo so che, come “Novecento”, anche questo può essere criticato come un altro romanzo molto, forse troppo, “mainstream”, ma la verità è che per me non si è palesato come tale. Tanto per cominciare è stato il primo (e per ora unico) libro che abbia mai letto di questa autrice, della quale tra l’altro so poco e nulla, salvo il nome e qualche titolo di libro. Lo so, sono ignorante come le capre, superiamola e andiamo avanti!
Oltre alla mia ignoranza sull’autrice, c’è da aggiungere la mia ignoranza sull’opera in sé e per sé, della quale anche solo la trama era per me un territorio sconosciuto. Avevo il timore che il breve spazio dedicatole nella copertina dicesse troppo della storia che andava a raccontare, per cui non ho mai voluto soffermarmici troppo, cercando di captare nelle prime righe se ci fosse la possibilità di farmelo piacere senza scoprire troppo le carte in tavola. Non so ancora dire il perché io abbia preso questa decisione, dato che non
temo lo spoiler e in genere me ne frego abbastanza di sapere prima come una storia va a finire, ma tant’è! Ho semplicemente tenuto questo libro nella mia libreria per anni, non sapendo minimamente di cosa parlasse, ma decisa un giorno a prenderlo in mano e a leggerlo. Beh, quel giorno si è concretizzato circa un mese fa ed eccomi qua a parlare di una delle storie più tristi e sfortunate del panorama letterario italiano contemporaneo.
“Venuto al mondo” racconta la storia di Gemma che, in prima persona, narra del suo grande amore sbocciato a Sarajevo durante le olimpiadi invernali del 1984. Diego è la sua dolce metà, un giovane fotografo sognatore e ingenuo come un bambino, ma capace di dare amore con tutto sé stesso.
Il destino porterà questi due giovani a rincorrersi per un breve periodo fino ad approdare in un matrimonio inizialmente pieno d’amore e di belle speranze. Gli eventi, tuttavia, riporteranno la coppia a Sarajevo, questa volta in una città completamente trasformata rispetto a come la conoscevano e costretta a deteriorarsi, a distruggersi, ad esplodere ogni giorno sotto la guerra, sotto uno degli assedi più sanguinosi della storia contemporanea, durato dal 1992 fino al 1996. Da questa guerra e da tutto quest’odio, sorgerà un piccolo seme di speranza: un bambino che Gemma sarà in grado di proteggere a caro prezzo.
Gojko, poeta bosniaco dal sarcasmo pungente, sarà il maestro di cerimonie di questa storia. Nonostante troviamo una narrazione fatta in prima persona da Gemma, è Gojko che ci da l’impressione di orchestrare il racconto e lo fa dando sfumature romantiche da un lato, malinconiche dall’altro e talvolta totalmente tristi, come solo la guerra può essere descritta: con traumi e amarezza.
La guerra e la storia d’amore si chiamano e si rispondono, in un rimando di dolori e sofferenze ben diverse, ma pur sempre sofferte e io ho dovuto ringraziare gli dei che si sia scelto di iniziare questa storia dalla fine, in modo tale che si sa subito, già dalle prime pagine, come va a finire, perché altrimenti non so se ce l’avrei fatta. Almeno mi sono preparata psicologicamente e non ho fatto troppi tuffi verso l’ignoto, anche se comunque dei colpi di scena ci sono, e parecchio inaspettati.
In mezzo a questo lago di tristezza infinita, si possono scorgere alcune descrizioni e alcune osservazioni che secondo me potevano pure risparmiarsi. Ad esempio, a un certo punto, parlando della guerra e della distruzione che essa porta, viene anche detto: “Gli occhi sono gli unici pezzi di vetro che non cadono…”, frase che sinceramente trovo alquanto infelice, dal momento che vi scorgo pochissima attinenza alla realtà. Passi in poesia, ma in un romanzo si potevano trovare molti altri modi per dire che a Sarajevo non era rimasto in piedi neanche mezzo vetro di finestra, perché le bombe e l’assedio in generale li avevano rotti tutti. Un altro esempio di “scrittura che non fa per me” lo posso trovare nel frequente uso dell’aggettivo “fesso”, che francamente a un certo punto è diventato troppo ripetitivo e inflazionato.
Fra questi punti di critica minore e che si risolvono in loro stessi, dal momento che sono marginali e senza collegamenti con la storia madre, trovo molto discutibile il discorso che si fa in merito alla sterilità femminile, all’utero in affitto, alla madre surrogata e più in generale all’ossessività di diventare genitori. Almeno si può trovare un esempio pratico su cosa NON fare se si fa parte di una coppia che cerca di avere un bambino, ma purtroppo le mie idee sulla cosa hanno condizionato troppo il mio giudizio, probabilmente anche perché al giorno d’oggi ci sono state grandi evoluzioni in merito alla questione che quando è stato pubblicato il libro erano ancora di la da venire.
“Venuto al mondo” è un romanzo di sentimento, scritto con sentimento e che va avanti con esso. La concretezza viene data dagli episodi storici ruotanti attorno alla città di Sarajevo, descritti in modo molto crudo e realistico. Questo contribuisce a bilanciare il tutto, per offrire al lettore un piatto dal sapore equilibrato, anche se infinitamente triste.
Non è il romanzo “rivelazione”, ma nel complesso lo approvo, mi è piaciuto abbastanza e lo consiglio. Magari non leggetelo in un periodo particolarmente triste della vostra vita, se no cadete in depressione.
Io vi saluto e vi auguro buon weekend, amici lettori!


-Liù

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