venerdì 13 aprile 2018

Romanzo rosa - Capitolo 8


Avvertenze: linguaggio fin troppo esplicito e volgare potrebbe essere usato per recensire il seguente libro. Si consiglia la presa visione solo ad un pubblico adulto e dallo stomaco particolarmente forte.

Buongiorno a tutti bella gente!
È uno sporco lavoro, ma qualcuno deve pur farlo!

Vi dirò, a un certo punto ho anche pensato di creare una rubrica solo per la Gabaldon, intitolata qualcosa del tipo: “Un tè con la zia”, se non fosse che, grazie agli dei, siamo definitivamente entrati nella seconda parte della saga e se non ci troviamo ancora in dirittura d’arrivo, quanto meno né possiamo scorgere la fine. Non è detta l’ultima parola, cari amici, perché la penna oltremodo attempata di Diana Gabaldon non si è limitata a una sola saga, si è spinta invece ben oltre il confine consentito dell’umano pudore e ci sarebbe quindi moltissimo ancora da dire sulle sue opere; tuttavia potete essere abbastanza sicuri che su questo blog non le verrà dedicato più spazio di quello già datole, giusto per farci quattro risate in compagnia, per denunciare orrori letterari verso i quali sento l’obbligo morale di farli presente al maggior numero di persone possibili e anche per dimostrare che persino in alcuni libri ai quali si da poco credito, può esserci qualcosa da trarre in salvo.
Dunque, per inquadrare un attimo il pezzo di storia che andrò a recensire, facciamo un po’ il punto della situazione.
“Nevi infuocate” e “Cannoni per la libertà” formano il sesto libro della saga di “Outlander” in lingua originale. Da noi in Italia, invece, costituiscono rispettivamente il decimo e l’undicesimo volume.
Le case editrici interessate dovrebbero “cacciare fuori” fra non molto gli ultimi due libri (o l’ultimo, per gli anglofoni) dell’intera, kilometrica, lentissima saga de “La straniera”. Sto drizzando le antenne per cercare di captare qualche informazione, ma intanto di materiale ne abbiamo e anche troppo, direi.
“Nevi infuocate” inizia il suo racconto nel 1773 e si andrà a concludere, in “Cannoni per la libertà”, nel 1776. L’ambientazione è sempre quella. Quella che a me non piace per niente: le colonie americane. Scordiamoci il fascino del vecchio continente, scordiamoci il fascino della Scozia, dei kilt, del “celtismo” dilagante a random senza nessuna logica; scordiamoci “Outlander” nella sua essenza più profonda, perché diciamocelo! Tre quarti del fascino suscitato da questa storia, cari miei, lo dava lo sfondo: le benedette Highlands! È inutile che ci giriamo intorno, è così e lo sappiamo bene, perché attraverso questa collana e attraverso la sua autrice, la Scozia ha lanciato ondate di vibrazioni fascinose sulle malcapitate lettrici facendo decisamente centro. Ora è tutto finito. Qua si vede che la scrittrice è americana e di conseguenza anche americanocentrica. Non è la critica più dura che le ho sentito rivolgere, ma c’è stata e mi trova totalmente d’accordo.
Certo, io sono un po’ fissata e appena posso criticare gli Stati Uniti mi ci butto a mo’ di caterpillar, ma ditemi voi che bisogno c’era di orchestrare tutta sta manfrina, tutta sta accozzaglia di fatti, personaggi nuovi (perché i ventimila che c’erano prima non erano abbastanza), nuovo scenario, nuove guerre, quando la storia di Jamie e Claire poteva finire, minimo minimo, sei libri fa?
La verità è che alla Gabaldon le idee non mancano per niente. Si tratti di incesto, di un padre senza una mano che non può mantenere i figli, di episodi di poliamore quasi hippy, di generali pronti a dar battaglia, Diana Gabaldon ha sempre qualcosa da dire. Ma perché mai i protagonisti dovrebbero essere gli stessi? Dei protagonisti che hanno completamente esaurito tutto quello che dovevano dire da molto tempo e che ora sono soltanto limoni troppo spremuti? Questo, purtroppo, credo lo sappia solo la diretta interessata.
Pagine e pagine del più inconcludente piattume che mi va di leggere solo perché mi sono affezionata ad alcuni personaggi che, a differenza dei coniugi Fraser, possono ancora essere molto esplorati.
Per come la vedo io avrei trovato decisamente più logico creare degli spin-off incentrati su alcuni personaggi secondari, come è stato fatto per Lord John Grey, o prendere delle storie che in “Outlander” non hanno il minimo senso di esistere e farci proprio dei romanzi totalmente separati. Sarebbe stata una scelta imprenditoriale maggiormente apprezzata dalla sottoscritta e con almeno un po’ più di onestà intellettuale.
E invece mi duole moltissimo dirvi che Jamie e Claire sono sempre tra di noi, a fare sesso come ricci in ogni anfratto delle colonie che capita loro e tra una bottarella e l’altra, tra una descrizione morbosamente lenta e noiosa della natura circostante, un po’ di boschi di qua, una città portuale di la, ecco che la storia principale va avanti; a fatica e ammorbandoci la cistifellea, ma va a vanti.
Jamie è stato nominato agente per gli indiani, incaricato dal governatore di persuadere i pellerossa ad allearsi con la corona inglese in vista della rivoluzione per l’indipendenza americana. Ovviamente la qual cosa, conoscendo il futuro e sapendo che i coloni avranno la meglio sull’impero britannico, sarà motivo di tradimento di Jamie nei confronti degli inglesi, ma non è che a lui stessero molto simpatici, dopo Culloden, per cui non è difficile eliminare i rimorsi.
Claire, nel frattempo, viene rapita, picchiata e violentata e io non vorrei sembrare insensibile, ma mi sembrava strano che non fosse ancora capitato, dal momento che trovo molto difficile che nelle epoche passate la violenza sessuale non fosse una cosa all’ordine del giorno.
Oltre a ciò spunta fuori Donner, un altro viaggiatore nel tempo. Donner è completamente rincoglionito; una mina vagante che serve solo come mero strumento, sia per i protagonisti che grazie alle sue informazioni capiscono meglio come funzionano i portali, sia come vero e proprio espediente narrativo per mandare avanti la storia.
Parte importante di questi due volumi la fanno anche i Christie, una famiglia molto particolare e anomala, che causerà non pochi danni a Jamie e Claire; danni che tra l’altro si protrarranno un po’ anche nei volumi successivi. Non capirò mai che bisogno c’era dei Christie e dei loro exploit pulp, ma lasciamo perdere.
Almeno si parlerà più approfonditamente del tesoro francese: quello destinato a Bonnie Prince Charlie nel corso della rivoluzione scozzese e che non è mai giunto a destinazione, ma che piano piano salterà fuori. Questo episodio è intrigante, da un senso a certi personaggi che finalmente hanno un motivo di esistere, come per esempio la stucchevole e irritante zia Jocasta ed è abbastanza avventuroso e incalzante. Diciamo che rianima un po’ le vicende, quindi è uno dei pochi episodi approvati.
In generale, posso dire di apprezzare tutti gli episodi più movimentati, o di azione se così si può dire. Considero questo come un romanzo di avventura, è ciò che mi aspetto da un libro del genere, è ciò che cerco. Sono soddisfatta se ritrovo Stephen Bonnet, cattivo come sempre, forse di più; sono soddisfatta se lo vedo condannato a morte e se mi si rivela come si potrebbe concludere il suo capitolo in questa storia; sono soddisfatta se vedo Claire tratta in salvo dai truculenti uomini di famiglia: marito, genero, nipote. Le parti dinamiche sono cose con cui la Gabaldon sa giocare, cose in cui è brava e non capisco perché debba necessariamente allungare il brodo con altro.
“Cannoni per la libertà” finisce con un altro viaggio nel tempo, compiuto questa volta da Brianna, Roger e i loro due pargoletti, che a causa di una malformazione della piccola si trovano costretti a tornare nel futuro per poterle salvare la vita. Subito dopo l’addio di figlia e nipoti, Claire e Jamie si preparano ad affrontare un esplosione casalinga, che fa letteralmente saltare in aria la loro dimora e un fittavolo non proprio fedele come avevano creduto, Arch Bug, che rivelerà doti e intelletto inaspettati, oltre che un’ampia sete di vendetta. Arch Bug e sua moglie sono costruiti magnificamente, caratterizzati benissimo e il loro coinvolgimento in alcuni fatti è totalmente inaspettato. Questi sono probabilmente gli ultimi pollici in su che posso concedere.
Passando alla narrazione…


“…vidi i granelli di sale a terra, sparpagliati accuratamente davanti ai cancelli del mausoleo.”

“Per ottenere un marrone sottile e profondo…”

sparpagliati accuratamente”? “sottile e profondo”? Contemporaneamente? O è sottile, è profondo. O sono sparpagliati o sono disposti accuratamente. Ma poi, chi mai predisporrebbe accuratamente dei granelli di sale? Certe scelte narrative mi fanno friggere il cervello. Vorrei risparmiarvi la descrizione della figura “alta e tarchiata” di Mr Webb, ma non posso. La coerenza è rimasta gravemente ferita sul capo di Culloden ed evidentemente non si è più ripresa. E tuttavia è sempre meglio la poca coerenza, rispetto a frasi come: “…e la sua voce penetrò più in profondità del suo uccello”. Poesia, signori! Poesia! Una finezza stilistica difficile da eguagliare.
Non c’è niente da fare, da questo punto di vista è sempre la solita solfa, che non mi stancherò mai di ripetere: la Gabaldon ha delle capacità che ogni volta butta elegantemente nel cesso, per poi scivolare su delle parole, o se è per questo delle intere frasi, dove c’è poco da salvare. Sacro e profano nello stesso romanzo.
Prima o poi catturerò la Gabaldon e la costringerò a fare un’intervista in cui mi spiega per filo e per segno cose per me totalmente illogiche e disfunzionali.
Per il momento accontentatevi della mia lunga e straniante riflessione su questa storia.
Sperando di avervi tenuto compagnia per un altro weekend vi auguro buona giornata e alla prossima!

-Liù

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