venerdì 18 maggio 2018

Fantascienza - Capitolo 1




Ed eccolo finalmente, lo avevamo promesso ed oggi siamo liete di accogliere nel nostro blog il primo libro di fantascienza mai recensito da nostro team! Possiamo così colmare una grande lacuna, come un arto mancante, che finalmente è stato probabilmente sostituito, visto il genere, con un arto meccanico o robotico.
Un po’ mi sento emozionata mentre qui, a “tarda” ora (le 21.15), mi trovo a scrivere questa recensione, subito dopo il termine della mia lettura. Voglio essere sicura di non dimenticare nulla di quanto vorrei dire e quindi mi sono rimboccata le maniche e mi sono messa a scrivere.
Il primo libro di fantascienza sul blog è un grande classico, un opera del 1950 frutto del genio di uno dei maggiori autori del genere, riconosciuto in tutto il mondo: Ray Bradbury. Io non lo avevo mai sentito prima, ma se provate a cercare su Google qualcosa riguardante libri di fantascienza, lo troverete sicuramente, e infatti è così che l’ho trovato anche io. Nella mia wishlist del compleanno (se non sapete di cosa sto parlando vi invio direttamente al post riguardante il Book Haul) questo era uno dei libri di fantascienza che avevo scelto di leggere, spinta dalla curiosità. Il titolo è “Cronache marziane” e si compone di una serie di racconti che parlano della colonizzazione del pianeta Marte ad opera della popolazione umana tra il 1999 e il 2005.
Come già accennato è stato pubblicato nel 1950 e leggere questo libro oggi, nel 2018, mi ha dato la stessa sensazione che mi aveva inizialmente dato la visione di “2001 Odissea nello spazio” quando lo vidi nel 2004: l’impressione che gli esseri umani siano molto statici, e in proporzione anche un po’ troppo ottimisti. Se mi ritrovo però a pensare ad un ipotetico futuro nemmeno troppo lontano, come ad esempio il 2060, riesco ad immaginare macchine volanti ed invenzioni strabilianti. Forse perché tutti sogniamo almeno un po’ di vedere queste scoperte con i nostri occhi. Leggere come nel passato immaginavano il futuro indica quindi come in realtà noi siamo più prevedibili di quanto pensiamo.
Ma mi sto dilungando. Parliamo del libro. Sono circa 270 pagine e ciascun capitolo ha protagonisti differenti, sono veramente pochi i personaggi che si rivedono nel corso del libro, sicuramente si possono contare sulle dita di una mano. È come se l’autore volesse scrivere degli stralci di vita marziana e non, e questa sospensione della trama ad ogni capitolo è da un lato molto divertente, dall’altro invece lascia spazio a diverse riflessioni.
Per quanto riguarda i personaggi non posso quindi dire un granché, ma posso parlarvi della visione offerta dei marziani e di quella degli esseri umani. I marziani, forse perché non avendo nulla su cui basarsi, risultano particolari, seppur tendenzialmente non in termini negativi. Sono semplicemente diversi, ma ne verranno descritti molti, come se l’autore non sapendo,  abbia voluto fornire diverse possibilità. Gli umani invece li conosce bene, e questo si evince dalle loro caratterizzazioni e dalla direzione che prende la narrazione. Le vicissitudini descritte mostrano e sottolineano come a volte noi non impariamo dai nostri errori, anche quando pensiamo di averlo fatto, ma tutto porta a ripetere quanto già successo in passato. La famosa frase “La storia di ripete” potrebbe essere un buon motto per rilanciare il libro, soprattutto in questo periodo storico, ma anche socio-culturale.
Dalle righe di questi racconti emerge una grande critica all’umanità e alla sua distruttività in nome di un qualche bene superiore che però ancora oggi non ha un nome né una chiara identità. La critica dell’autore sembra essere rivolta soprattutto agli Stati Uniti, ma credo che possa estendersi anche altrove. Critica rivolta alla nostra capacità innata di distruggere tutto quello che non ci appartiene e che non conosciamo unita però anche alla presunzione di sapere tutto e meglio, di un bene supremo. Di contro, però, nonostante questa grande critica, lascia emergere anche la parte più bella: la curiosità, l’apertura al diverso ed il rispetto di ciò che non si conosce. Queste ultime caratteristiche vengono personificate in pochissimi personaggi singoli che però sono la scintilla nella notte, sono la speranza che fa credere di avere ancora una possibilità.
Tra le cose che mi sono piaciute molto ci sono la modalità di scrittura, che lascia aperte le porte a qualsiasi riflessione interiore su cosa sia giusto e cosa no, su cosa avremmo fatto noi e sull’esprimere giudizi quando non si hanno elementi in mano. Un esempio è il capitolo in cui si parla dell’arrivo di alcuni funzionari religiosi su Marte, in cui si parla di fede: per chi ci crede e ci vuole credere non sarà mai necessario portare prove a sostegno dell’esistenza o meno di Dio, per chi invece non ci crede o non vuole farlo, nessuna prova sarà mai sufficiente. Certo, in questo caso, nel libro, noi abbiamo la risposta di fronte a questo interrogativo perché lo vediamo dall’esterno, ma nonostante la situazione, giusta o sbagliata che sia, è difficile esprimere un giudizio su cosa è sbagliato e cosa invece non lo è.
La seconda cosa è la fantasia. Io credo fermamente che per avere buone idee per scrivere libri fantasy o di fantascienza ci voglia molta fantasia e, soprattutto per la fantascienza, anche una buona conoscenza di fisica e scienza in generale. Per scrivere di qualcosa di magico non ci vuole molto, ma per farlo bene bisogna veramente essere bravi. Quindi un pollice in su per Ray!
Mi è piaciuto, l’ho letto velocemente anche se all’inizio era un po’ strano, mi ha lasciato perplessa ma poi mi sono fatta un po’ di risate.
E voi che libri di fantascienza avete letto e amato? Cosa consigliereste a due ignoranti come noi?
Leggete “Cronache marziane” e alla prossima!
-Pearl


Nessun commento:

Posta un commento