venerdì 25 maggio 2018

Young adult - Capitolo 8



Buongiorno lettori!
Volevo condividere con voi un paio di riflessioni che ho fatto leggendo “Wolf. La ragazza che sfidò il destino”, della scrittrice americana Ryan Graudin.
Ve lo giuro io vorrei davvero parlare bene di questo romanzo. Tuttavia non posso proprio.

Per quanto riguarda il mio gusto personale, la trama e l’idea partorita mi avevano interessato moltissimo. Come di certo avrete già notato, subisco fortemente il fascino del genere letterario chiamato: “Storia alternativa” (se di genere vero e proprio possiamo parlare). Figuriamoci se poi, tale impostazione di racconto decide di puntare la sua lente d’ingrandimento sulla Germania e in particolare sul periodo più buio della sua storia: Hitler e il Terzo Reich.
Tra la seconda guerra mondiale da un lato e l’insieme di fatti ruotanti attorno al muro di Berlino dall’altro, in questo preciso luogo ideale, si trova uno dei miei punti deboli e appena scorgo l’ombra vaga di qualcosa che può parlarne, con cui posso approfondire gli argomenti, mi ci tuffo a capofitto; ormai è così da un paio d’anni. Prima ero una persona normale.
Quindi quando ho sentito la trama di “Wolf” ho drizzato le orecchie e fatto il più possibile per farmelo prestare.
Da dove vogliamo cominciare? “Wolf” ha troppe storture per sperare di recensirlo con ordine, eppure niente di tutto ciò avrebbe molto senso senza una parvenza di trama iniziale, dunque ecco il nostro entrée.
Siamo in un mondo parallelo, un grosso e grasso “Cosa sarebbe successo se…”, che in questo caso coincide con la vittoria di Hitler e del nazionalsocialismo nella seconda guerra mondiale. Gli Stati Uniti non sono intervenuti, l’Inghilterra ha ceduto ed è stata invasa (Fatemelo scrivere: Keep calm and carry on!), Mussolini è morto e il suo alleato tedesco ha annesso l’Italia all’impero più spietato mai esistito. Il cancelliere nazista e l’imperatore giapponese si spartiscono dei territori immensi: la Germania ha preso tutta l’Europa, Russia compresa e l’Africa; il Giappone ha nelle proprie mani l’intera Asia e l’Oceania.
Siamo in un 1956 dal sapore decisamente diverso, perché non è quello del boom economico a cui siamo tutti abituati a pensare, ma uno più fastidioso di dittatura e razzismo.
La gioventù hitleriana, così come i giovani rampolli giapponesi, fiori di loto all’occhiello dell’impero asiatico, si sfidano ogni anno sulle motociclette, in un pericoloso e quasi sempre impari “Tour dell’Asse”, il quale ha inizio a Berlino, segue varie tappe fra l’uno e l’altro dominio, per poi concludersi a Tokyo, dove il vincitore verrà ricoperto di gloria e riceverà la croce, la medaglia tanto ambita da tutti i partecipanti, disposti a tutto, soprattutto a barare con ogni mezzo possibile, pur di vincere.
La trama già così poteva suonare abbastanza interessante, ma alla Graudin evidentemente non bastava e ci ha aggiunto la vincitrice donna dell’anno precedente, che fingendosi suo fratello gemello, è riuscita a partecipare, poi a vincere e così facendo ha permesso l’entrata in gioco di altre donne nella gara. La presenza della vincitrice, Adele Wolfe, serve all’autrice come mero espediente narrativo; un espediente importante e anche abbastanza visibile, ma che tuttavia possiamo tollerare perché la cara ragazza, con la sua vittoria, non solo ha ottenuto gloria e onori, ma anche il privilegio di danzare con Hitler in persona, creando così un episodio abbastanza curioso e intrigante. E ancora non abbiamo parlato della protagonista. Yael è una giovane ragazza ebrea con una storia molto particolare. Quando, da piccola, giunse nel campo di concentramento insieme alla madre, il medico del campo (alias scienziato pazzo) decise di usarla come cavia per i suoi esperimenti scientifici. La piccola sopravvisse, a dispetto di tutto e tutti e sopravvisse a sua madre, oltre che ad altre donne a lei care conosciute durante i giorni di prigionia. Cosa infinitamente più importante, divenne un mutante capace di trasformarsi, di cambiare il proprio aspetto in altri essere umani di sesso femminile. In pratica, Yael è Mistica degli X-Men. Oppure è un mix tra lei e Magneto, il che detto così è abbastanza inquietante. Tuttavia, proprio come Magneto, Yael sopravvisse al campo e addirittura riuscì a scappare proprio grazie alle sue doti.
Dopo un periodo di vagabondaggio e borseggi a Berlino – ora ribattezzata direttamente “Germania” – Yael trova asilo in una cellula della resistenza che nascosta, come le altre nel resto del mondo, aspetta il momento giusto per ribaltare l’ordine costituito e dare inizio alla rivoluzione. Questo fatidico “momento giusto” arriva, per l’appunto, in occasione del Tour dell’Asse 1956, con una Yael diciassettenne ben decisa a prendere le sembianze della vincitrice Adele Wolfe, vincere la gara per la seconda volta, danzare con Adolf Hitler e ucciderlo davanti alle telecamere che immortalano il momento, dando modo a sé stessa di vendicarsi delle perdite personali subite a causa della dittatura e dando modo all’intera resistenza di scatenarsi contro il nazismo nel tentativo di sopprimerlo. Ecco quindi il piano presto detto: nascondiamo il numero marchiato sul braccio col tatuaggio di cinque lupi (uno per ogni persona da vendicare), rapiamo la vera motociclista, prendiamo il suo posto e si parte!
Dite la verità: non intriga una trama così? Non pensate anche voi che sia una bella idea da sviluppare? Non fate i timidi snob e ammettetelo!
E invece, come direbbe Bastianich, c’è del deludendo. Del deludendo profondo, oserei dire.
Tutto questo popò di scenario a cosa serve? Come sfondo, giust’appunto e indovinate per cosa? Esatto! Per una storia d’amore trash! Va anche detto, questo bisogna concederlo, che almeno in questo primo volume (in tutto sono due) si sono contenuti e si è parlato di tutto e un po’, sicché si ha la parvenza che la Graudin abbia molto da dire, anche per quanto riguarda il discorso sulla ricerca della propria identità; un discorso molto facile da fare se ci si ricollega al fatto che Yael, dal corpo in continuo mutamento, non conosce il suo vero aspetto fisico. Questo fatto, con l’aggiunta di una vita dedicata alla causa, non giova sicuramente per la ricerca della sua propria identità. Sarebbe bello, davvero molto bello e per questo motivo temo sia un sogno vano, che si ampliasse questo discorso anche ragionando sull’etica e sugli ideali nazisti, i quali puntavano a standardizzare persino gli esseri umani oltre ogni tipo di limite.
Le note dolenti ci sono e sono tante, ma credo che ce ne sia una molto grave, che supera le altre per importanza. Qui non si parla soltanto di “buco di trama”, qui stiamo parlando di una vera e propria voragine e riguarda la caratterizzazione della protagonista. Quest’ultima, a quanto pare, è identificata come il punto cardine del piano di rivolta dell’intera resistenza, impegnata in una missione a dir poco suicida. Fin qui niente di strano… Se non fosse che Yael è anche una protagonista che non vuole uccidere nessuno eccetto il bersaglio finale. 007 con licenza d’uccidere… Che però non vuole farlo. E per cosa? Motivi etici.
Partiamo dal presupposto che quando uno scrittore decide di costruire la sua opera dovrebbe permettere alla sua mente di lavorare un po’ come fa quella di Sherlock Holmes. Costruire, cioè, una serie di fatti ed eventi, causati da persone pensanti che fanno scelte e compiono azioni. E che questi fatti sono interconnessi tra di loro, con un andamento quanto meno logico, poiché logiche sono le scelte e le azioni dei personaggi che li hanno provocati.
È normale che l’essere umano, o ancora più in generale, che l’essere pensante faccia determinate scelte in nome della propria etica personale, ma è altrettanto vero se non addirittura imprescindibile che quell’essere pensante compia un determinato percorso perché è quello logico. Anzi direi che addirittura, in questo discorso, l’etica sarebbe subordinata alla semplice logica e non opposta ad essa, perché la logica è ciò che definisce questo mondo per quello che è e per tanto, io scrittore, devo fare in modo che le azioni e le scelte del mio personaggio abbiano una logica costante. Volete un esempio? Per esempio, non posso costruire una protagonista che ha come missione quella di uccidere il capo di una dittatura e allo stesso tempo non è disposta ad uccidere chiunque intralci il suo cammino e che può rappresentare un rischio per la missione. È assurdo e illogico.
Una persona che ha subito un dolore grave e immenso come la deportazione, o la perdita delle poche persone a lei care, o dei lutti, delle ingiustizie, quello che volete! Una persona che ha subito tutto ciò ha due possibilità. Non venti e non una, ma due: la prima possibilità è che, avendo conosciuto il dolore e l’odio, avendoli trovati terribili ed essendo emotivamente fortissima da riuscire a sopportarlo, sopravviverci e conviverci, scelga di prendere le distanze da tutto ciò che significa violenza e di combattere la sua personale battaglia contro l’odio diventando attivista politica e quindi attraverso la lotta non violenta.
La seconda possibilità è che quell’odio le sia rimasto dentro, lo voglia sconfiggere con altra violenza, o vendicarlo e si rende disposta a tutto pur di compiere la sua vendetta, per raggiungere il suo obbiettivo, farsi terra bruciata attorno e radere al suolo la qualsiasi pur di arrivare alla meta.
La persona che sceglie la prima strada non accetterebbe mai di andare in missione per uccidere Hitler e la seconda non si farebbe scrupoli per eventuali morti sul suo cammino. In qualche modo, totalmente al di fuori di ogni possibile e giustificabile logica, Yael sceglie entrambe le cose: di andare ad uccidere Hitler e di non uccidere nessun altro. Il punto che regge tutta la storia non regge nemmeno sé stesso. Grave, gravissimo errore. Secondo me è ingiustificabile e non sto andando a sentimento: è logica. Non regge ed è un fatto. Tolto questo, nessun altro pezzo va al proprio posto, perché a questo punto il potere di Yael perde tutta la sua importanza. Alla resistenza – che, ci terrei a sottolineare, ha cellule sparse in ogni dove per cui non è proprio una resistenza disorganizzata di primo pelo – sarebbe bastato un ragazzo biondo su cui costruire una falsa identità e sarebbe stato più facile che mandare in missione una ragazza per poi spacciarla per qualcun altro, tra l’altro rischiando che dicesse mezza frase sbagliata per farla scoprire.
Credetemi, non mi diverto a fare queste osservazioni, perché è con tutta sincerità che ribadisco quanto avrei desiderato parlare bene di questo romanzo, ma le critiche bisogna farle bene e sotto questo punto di vista mi rammarico di dire che “Wolf” è insalvabile. Ahimè non è l’unico punto di vista insalvabile.
Se vogliamo parlare della caratterizzazione dei personaggi incontriamo altri ostacoli, dal momento che si fa fatica ad andare in profondità. Yael può risultare profonda perché viene raccontata la sua drammatica storia dal campo di concentramento in poi, ma la sua personalità nel presente non viene fuori più di tanto, non difforme almeno da quella di mille mila altre protagoniste young adult. Ha dei dolori che si trascina, ma è chiaro che non viene analizzata nessuna sindrome da stress post traumatico, o qualcosa di simile, qualcosa di più realistico che ci dica che si è trascinata il suo dolore fino all’età adulta.
Per non parlare, poi, del bell’imbusto che vediamo periodicamente al suo fianco: Luka Lowe, dal cognome curiosamente e pacchianamente simile alla parola “love”. Sarà un caso? Con ciò che nel libro si dice di lui è difficile da credere, visto che in un quotidiano di cui si parla nel romanzo troviamo che “…era così irresistibile da rubare a prima vista i cuori di diecimila vergini tedesche”. Dico ma scherziamo? D’accordo lo spirito di propaganda dell’epoca, ma così mi sembra troppo anche per Barbara D’Urso, figuriamoci per i nostri amichetti nazi.
Niente da fare anche per lo stile di scrittura. Da un lato lo si boccia per la composizione delle frasi vera e propria, dall’altro per il contenuto totalmente nonsense. Ad esempio:

…si aspettava una predica in stile Mamma Chioccia che facesse leva sul senso di colpa. (Dov’eri? Ero così in ansia! Pensavo ti avessero scoperta/ammazzata/[inserire catastrofe qui]!)

Ciccia, può anche darsi che io abbia fatto la fatica di comprare il tuo libro, ma questo non significa che mi puoi parlare come fossimo tra amici in chat.  Al di la del fatto che, comunque, un leader di una qualsivoglia resistenza, non andrebbe in giro a comportarsi come una “Mamma Chioccia”. Della serie: [inserire illogicità gratuita qui, prego].
Insomma, “Wolf” si consegna a noi come un vero e proprio “Cosa sarebbe potuto succedere se…”. Cosa sarebbe potuto succedere se si fosse deciso di usare davvero tutto il potenziale che questa storia aveva nascosto in saccoccia ed invece non ha tirato fuori, chissà poi per quale oscura motivazione.
L’idea mi piace talmente tanto che sono più che decisa a leggere il secondo volume, illudendomi che possa migliorare in qualsiasi modo possibile, quando in realtà non sarà per niente così.
Di fronte a questo operato, potenzialmente straordinario e sminchiato in codesto vergognoso modo, non mi resta che dire quello che Gandalf disse alla compagnia dell’anello, nelle viscere della montagna:
Fuggite, sciocchi!
Alla prossima, lettori!


-Liù

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