venerdì 22 giugno 2018

Teatro - Atto V



Buona sera bella gente!
Se siete alla ricerca di un testo breve, leggero, divertente, munito di tematiche, rivoluzionario della sua epoca e allo stesso tempo considerato (a ragion veduta) un grande classico, è il caso che cominciate a prendere in considerazione “La locandiera”, di Carlo Goldoni.

Grazie a questa commedia posso finalmente dire in una recensione di aver avuto il piacere di assistere alla sua rappresentazione teatrale. Quindi forse, per una volta, non dovrete sobbarcarvi il pippone su quanto sia importante andare a vedere a teatro un’opera pensata per essere recitata e non per essere scritta… Forse… Se mai, invece di eluderlo, ribadisco il concetto e questa volta con cognizione di causa.
Non che la compagnia teatrale vista anni fa mi dia automaticamente il benestare a parlare in modo completo ed esaustivo di questa commedia, visto che era di certo una rappresentazione minore, fatta per le scuole, ma è stata comunque piacevole e considerando il fatto che io davanti a un pubblico mi sciolgo in mezzo secondo netto senza spiccicare una parola che è una, direi anche che è stata un’esperienza molto affascinante e fascinosa. Gli attori teatrali la sanno lunga, non c’è niente da fare, è una scuola che ti insegna anche se sei ormai un esperto navigato e hai interpretato Re Lear trecento volte. Il teatro è l’essenza stessa della recitazione e anzi, oserei dire che il teatro è l’attore stesso in sé e per sé.
Andando oltre il mio rapporto profondo e appassionato con questa forma d’arte, gran merito va a quel geniaccio di Carlo Goldoni, ossia l’uomo che riuscì effettivamente nell’intento di rivoluzionare il teatro italiano del ‘700. Con Goldoni ci si lascia marcatamente alle spalle e in maniera quasi definitiva il teatro delle maschere, in favore di una commedia che non ha più spazio per il canovaccio e i momenti di improvvisazione e che così facendo può permettersi di concentrarsi sullo sviluppo dei personaggi e su una recitazione sempre più realistica.
A differenza del modello francese, di cui a Molière va principalmente il merito, la commedia di Goldoni non si sviluppa attorno al carattere di un singolo personaggio, ma allo sviluppo di più caratteri, che restano fondamentali per le scelte e le azioni compiute dai personaggi sulla scena.
Così è anche per “La locandiera”, fiore all’occhiello della produzione goldoniana, nella cui storia vengono presentati fin da subito i cinque personaggi principali ed ognuno di essi è caratterizzato con peculiarità marcate ed evidenziate benissimo.
Mirandolina è, ovviamente, la protagonista indiscussa: la locandiera da cui prende il nome l’opera. Furba e brillante, la ragazza è protagonista della scena anche quando non vi è presente, dal momento che ottiene e a volte asseconda le attenzioni dei suoi clienti, i quali non fanno che parlare di lei. In particolare del Marchese di Forlipopoli e del Conte di Albafiorita. Il primo facente parte della vecchia nobiltà che ricollega tutto al lustro del proprio titolo nobiliare ed il secondo, mercante, che a differenza del primo non crede basti un titolo per aggiudicarsi l’amore della bella locandiera, ma piuttosto doni e gioielli. A questi personaggi si aggiungono il cameriere Fabrizio, che prenderà spessore più avanti e il Cavaliere di Ripafratta, burbero e misogino. Il Cavaliere è l’unico personaggio non attratto da Mirandolina, ma in tali condizioni ci resterà ben poco, visto che la giovane donna, un po’ per ripicca e un po’ per divertimento, deciderà di farlo innamorare di lei.
La commedia è breve, si parla di tre atti in tutto, ma lo spazio per parlare di ciò che l’autore aveva in mente c’è eccome; anzi uno dei temi principali è sbandierato ai quattro venti prima che l’opera stessa cominci.

L’autore a chi legge: La storia de “La locandiera” deve mettere in guardia gli uomini dalle illusioni e dagli amari tranelli che le donne sanno, con somma astuzia, architettare.

Mirandolina è uno dei pochi personaggi femminili forti che in ambito teatrale, soprattutto guardando ai secoli passati, scarseggiano. È quindi un personaggio anomalo, perché è donna e al contempo imprenditrice, indipendente, intelligente e di bell’aspetto. Goldoni avverte di guardarsi dalle donne come lei, ma allo stesso tempo simpatizza per lei e ne fa la propria stella; il perno attorno al quale ruota tutto il resto. Non è né buona, né cattiva, ma è profondamente umana. Non è un personaggio femminista, o particolarmente impegnato sul fronte parità e uguaglianza, tanto che non dimostra avere il minimo interesse per i sentimenti altrui, o per ferire gli stessi e la conclusione dell’opera riporta il personaggio entro canoni sociali ben consolidati. Ma resta un personaggio che si fa forza e ottiene risultati grazie alla suo intelletto. Caratteristica, questa, non solo di Mirandolina, ma propria della borghesia veneziana in piena fioritura all’epoca, che Goldoni intendeva mettere ben in evidenza, in contrasto e a sfavore di quella vecchia e opacizzata nobiltà che ormai non avrebbe più potuto raggiungere il vigore della nuova classe sociale emergente. Una classe sociale che l’autore esaltava e promuoveva, probabilmente in quanto appartenente ad essa e in una città-Stato, Venezia, che offriva sicuramente terreno fertile per i mercati e più in generale, gli affari.
Insomma, dopo tanti discorsi su Shakespeare e qualche sosta in Francia in compagnia di Cyrano de Bergerac, finalmente sono tornata alle radici di una letteratura che non ha nulla da invidiare alle altre, anche in campo teatrale. Fermo restando che il sommo maestro inglese non può toccarmelo nessuno.
Sperando di avervi incuriosito, o di avervi fatto venire voglia di riprendere in mano questo volume di vecchia data, vi auguro buona serata e buon weekend.
Alla prossima, lettori!


-Liù

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