venerdì 1 marzo 2019

Fantasy - Capitolo 8


Buongiorno lettori!
È con mio grande piacere che oggi vi parlerò dell’unico libro al mondo nel quale posso concepire come accettabile un Deus ex machina. Grazie tante, aggiungerei! Con un titolo e dei temi del genere non poteva che essere altrimenti e forse, una sorta di Deus ex machina, alla fine c’è davvero. Questo dipende molto dal lettore, dall’approccio che deciderà di avere con Neil Gaiman ed il suo “American Gods”.
Desideravate un altro capolavoro americano, per caso? Eccovi accontentati. Per la verità la penna è british, dalle origini ebraiche, polacche e più in generale est-europee, ma mi sembra abbastanza chiaro già dal titolo che argomento e ambientazione siano da ricercare dall’altra parte dell’Atlantico.
Quindi attenzione: sacchetto sulle spalle e via che si migra come le antiche generazioni di italiani e irlandesi! Questa volta, per fortuna, si viaggerà tra le pagine di un libro, uno di quelli degni di questo nome, onirico e surrealista. Un libro che vi farà spostare l’ago della bilancia un po’ più in la e permetterà alla realtà di oscillare pericolosamente. Difficile trovare un equilibrio e forse per Neil Gaiman non è nemmeno questo lo scopo. Forse lo scopo di “American Gods” è semplicemente quello di mettere a fuoco altri elementi presenti nell’obbiettivo e questo scrittore lo fa a suo modo, prendendo un po’ dalle diverse mitologie e un po’ dal suo tutt’altro che noioso subconscio. Aggiungeteci un pezzo di Route 66, mettete tutti gli ingredienti nel pentolone, serviteli con un’abbondante dose di ketchup in una tavola calda del Midwest ed il gioco è fatto.
Sullo sfondo di un’America per lo più persa e debosciata si muove Shadow, il nostro protagonista, perfettamente in armonia con l’atmosfera che lo circonda. Ex-detenuto, orfano e senza radici, gigante dal cuore buono, Shadow esce di prigione come l’ombra di sé stesso, esattamente come suggerisce il suo nome. O forse è proprio per questa sua inclinazione alla riservatezza che tutti lo chiamano così; una condizione che però è destinata ad avere vita breve, trascinato dall’ombra alla ribalta, vero luogo del protagonista. Infatti, più per volontà superiori che per mera casualità, Shadow si troverà a fare degli incontri che metteranno fortemente in discussione la sua idea di realtà e più di una volta sarà costretto a mettere addirittura sé stesso in discussione, così come la sua intera esistenza e la sua concezione di “essere vivo”.
“American Gods” parla di dei, si, ma soprattutto parla della vera cultura americana, del cuore dell’Ovest; un cuore che non è destinato a stabilirsi definitivamente, che dev’essere lasciato libero di volare. Un ovest dove le fedi non trovano terreno fertile e sono destinate a morire miseramente né più né meno come qualsiasi insignificante mortale che le ha generate, per lasciare infine intatta l’unica vera Dea: la madre terra.
Ho sempre saputo che un giorno i pelle rossa si sarebbero rivelati a me come i detentori di tutta la verità e quel giorno è finalmente arrivato. Neil Gaiman mi ha dato ragione con i suoi ultimi capitoli e quando l’ha fatto, senza svelarvi niente, mi sono quasi commossa, lo confesso.
Qui abbiamo tutto. Abbiamo un protagonista onesto, per nulla arrogante o presuntuoso, che si lascia guidare dal suo cuore, nel bene come nel male. Abbiamo un furfante infimo fino all’ultimo, che nonostante la sua ignobile natura non possiamo fare a meno di apprezzare e di maledirci per questo. Abbiamo una giovane moglie coraggiosa che, proprio come un grillo parlante moderno, è pronta a dar voce alla nostra vera coscienza e di contorno, ma non troppo marginali, abbiamo tantissime figure pazze, curiose, assurde e strane, che man mano, uno alla volta, prendono possesso del palcoscenico e hanno il loro momento di gloria, il loro piccolo monologo.
La capacità di Neil Gaiman di raccontare l’apparentemente razionale e pragmatico mondo moderno attraverso le credenze antiche, dei per lo più dimenticati ed esperienze soprannaturali che restituiscono alla morte la sua epica fatalità, è forse la nota più positiva che posso trovare per questo romanzo. E fidatevi, non è la sola.
Ho decisamente iniziato quest’anno con il libro giusto e la cosa non dovrebbe stupirci, non dal libro che tra il 2001 e il 2002 ha vinto il premio Bram Stoker, il premio Nebula ed il premio Hugo.
Proprio io che non volevo più saperne di fantasy, ecco che mi ritrovo con questo romanzo in mano, decisa a renderlo uno dei libri migliori che ho letto negli ultimi tempi. Infatti ho fatto un’enorme, colossale fatica a catalogarlo nella categoria fantasy, essendo davvero unico nel suo genere. È anche questo il suo bello, se così possiamo dire.
A me è venuta voglia di un viaggetto in macchina per gli States e credo proprio che non sono la sola a cui sia capitato dopo aver letto “American Gods”.
Voi l’avete letto? Cosa ne pensate? Siete d’accordo con me? Ogni opinione è ben accetta, miei cari. Ma nel frattempo spero di avervi incuriosito, vi auguro buon fine settimana e preparatevi: è in arrivo una tempesta.
Alla prossima, lettori!


-Liù

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