venerdì 8 marzo 2019

Libri-inchiesta - Capitolo 2




Buongiorno a tutti!
Oggi mi risulta difficile scrivere questa recensione, perché sento di non avere le competenze necessarie per rendere giustizia al libro in questione e per parlarne in modo approfondito e professionale. È uno di quei momenti nella vita in cui ci si sente particolarmente ignoranti, nel senso positivo del termine però. Quell’ignoranza che ti spinge a volerne sapere di più, ad imparare le parole giuste per esprimere i concetti giusti, quindi l’ignoranza positiva: quella che vuole essere colmata.

Una parte della colpa è proprio del libro,  delle sue caratteristiche e della sua trama. Ma di questo parleremo tra poco.
Il titolo di oggi è “A sangue freddo” di Truman Capote, ed è molto famoso, perché parla di un delitto realmente accaduto nel 1959, l’omicidio di una famiglia, i Clutter, genitori e due figli adolescenti. Gli autori della strage, due giovani uomini, sono entrati in casa con l’intenzione di rapinare ed uccidere tutta la famiglia. Si potrebbe parlare di spoiler, perché racconterò qui come va a finire la storia ma in realtà non lo posso considerare un vero e proprio spoiler, perché è accaduto davvero e i fatti sono dunque molto noti. Comunque voi la pensiate sugli spoiler, sappiate che qui parlerò sia dei responsabili sia di quello che avvenne, quindi a voi la scelta di continuare o meno nella lettura.
 La trama narra della famiglia Clutter e dei responsabili del delitto prima dell’omicidio e di quello che avvenne dopo, tra cui la fuga, le indagini, le persone care e i compaesani rimasti nello shock. Ritengo sia un resoconto giornalistico, molto chiaro, crudo nella sua imparzialità, se così la si può chiamare. L’autore riesce a mescolare molto bene la parte giornalistica di cronaca con la parte del racconto e, a volte è proprio questo mix che spinge il lettore ad andare avanti nella lettura, a superare l’orrore e l’insensatezza del delitto. Se Capote avesse scritto un semplice resoconto giornalistico sarebbe stato estremamente difficile completare la lettura delle quasi 400 pagine, invece la scelta di mescolarlo allo stile del racconto permette di distanziarsi e continuare, leggendo un capitolo dietro l’altro. E non importa se già dalle prime righe emerge il finale.
In alcuni passaggi ho avuto la sensazione di leggere un romanzo giallo, non una trama reale, della vita e della morte di persone reali e realmente esistite. La consapevolezza di ciò arrivava a sprazzi, come vampate di calore che vanno e vengono. Tale consapevolezza portava con sé una grande tristezza ed una grande amarezza per l’impossibilità di fare qualcosa, di impedire tutto questo. Nei romanzi, se si empatizza con i personaggi, dispiace per la trama, soprattutto se è particolarmente drammatica, ma nulla di più.  Sapere che però tutto questo è avvenuto veramente ha un peso del tutto differente.
I personaggi maggiormente approfonditi, probabilmente perché sono stati quelli più frequentati dall’autore, sono i due responsabili: Perry Smith e Richard Hickock. Lo scrittore ha infatti passato diverso tempo con loro, prima dell’esecuzione e ha raccolto così molte informazioni sulle loro vite e sulle loro personalità. Personalità definite dallo psichiatra che si occupò del caso e che testimoniò poi in tribunale come psicopatiche. O meglio l’equivalente di quello che oggi chiamiamo disturbo antisociale di personalità. Infatti il termine psicopatia non risulta esaustivo per questi uomini, però viene utilizzato perché spiega gran parte del loro comportamento.  Soprattutto se si considera il movente alla base della violenza: soldi. Che non erano tra l’altro presenti nella casa. Quattro omicidi per ottenere alla fine quaranta dollari. Una miseria. Questa insensatezza aggrava ancora di più la posizione dei due colpevoli reo confessi.
Sullo stile non mi sento di dire altro, se non che Capote è stato magistrale nel mixare lo stile di cronaca a quello del racconto.
Sembrerebbe che questa esperienza lo abbia provato non poco, e sembra che a causa di questo libro, frutto di 6 anni di lavoro, l’autore non sia più riuscito a completare nessun altro libro. Quindi da un lato ha segnato l’apice della sua carriera e dall’altro l’inizio del declino. Il pubblico fu molto critico con lui, scrittore maledetto e omosessuale, perché ritenuto colpevole di voyeurismo cinico. Il suo intento era di raccontare in maniera oggettiva quanto avvenuto, ma come sempre accade quando si entra da osservatore all’interno di un contesto non si riesce a restare completamente imparziali. La nostra vita, la nostra storia personale, le nostre credenze, i nostri valori, sono parte di noi e non è possibile per nessuno al mondo metterle da parte al 100%. Nonostante ciò ritengo che Capote sia riuscito a scrivere il libro nel modo  più possibile imparziale, quindi tanto di cappello.
Diversamente da quanto avviene nei film, nella realtà non si potrà mai avere la certezza completa di quanto è avvenuto durante un delitto in cui gli unici testimoni sono i colpevoli. Ci si deve affidare a supposizioni, alle prove raccolte e ai loro racconti. E ci sarà sempre un dubbio non colmato o un’incertezza costante nella mente, in questo caso, di chi legge.
Consiglio questo libro? Assolutamente sì. Soprattutto a quelle persone che vedono il mondo in bianco e nero ed ignorano invece le mille sfumature intermedie. Persone come i due colpevoli che compiono azioni deplorevoli come l’omicidio sono sicuramente da condannare, ma conoscere la storia alle loro spalle, le loro condizioni mediche, o le loro motivazioni (non in questo caso, ma in altri sì) fa veramente la differenza tra un mostro ed un essere umano. I mostri non esistono, gli esseri umani che mettono in atto comportamenti mostruosi invece sì. Non sto assolutamente giustificando gli autori degli omicidi, ma credo che fare questo sforzo mentale di mettersi nei panni dell’altro possa aprire le nostre menti, renderci flessibili e più umani.
A presto.
-Pearl

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