mercoledì 27 marzo 2019

Mai giudicare un libro dal suo film... e viceversa! - Eragon


ATTENZIONE! 
Avvisiamo i nostri gentili lettori che questa rubrica conterrà spoiler sia sui libri che sui film che verranno trattati. Inoltre ci teniamo a sottolineare che non è una battaglia in cui uno dei due mezzi comunicativi vince sull’altro, ma è un confronto degli aspetti positivi e negativi di ciascuno per cercare di capire se l’adattamento cinematografico ha trasmesso l’idea originaria dell’autore o se invece se ne è discostato per raccontare qualcosa d’altro. Non parliamo di meglio o peggio ma di un confronto alla pari tra due canali comunicativi differenti.

Buongiorno bella gente e ben venuti al nostro appuntamento mensile con la rubrica dedicata ai libri, ai film e al rapporto travagliato che spesso intercorre tra questi due mondi. Alcune volte i registi possono migliorare una storia che fra le pagine abbiamo guardato con sospetto. Delle volte possono addirittura migliorarne una che abbiamo letteralmente amato, mentre in altri casi si può solo peggiorare una situazione che già in partenza ha il vero e proprio sapore della catastrofe annunciata. Ecco, “Eragon” appartiene a quest’ultima categoria.
Portiamo le mani avanti e rendiamo chiaro fin da subito che durante la mia analisi mi riferirò solo ai primi due libri della saga, perché nella lettura mi sono fermata proprio in quel punto e non ho la benché minima intenzione di continuare a leggerlo. Dubito fortemente che possa migliorare negli altri due volumi, ma in ogni caso non posso averne la certezza matematica, quindi mi limiterò saggiamente a parlare di quello che conosco, tralasciando ciò che invece mi è completamente sconosciuto.

IL LIBRO
La storia già di per sé non era un granché. Per carità, da che mi ricordo di quel poco che ho letto della saga, sono abbastanza convinta che trasmettesse messaggi positivi ai giovani. Quanto meno non ne trasmetteva di negativi e questo, considerando il grande marasma in cui ci stiamo muovendo, soprattutto nelle zone delle librerie che riguardano i ragazzi, vuol dire molto più di quanto dovrebbe.
“Eragon” è la classica storia fantasy con mappa nel retro copertina, traduzioni del linguaggio elfico in fondo al libro e battaglie epiche tra buoni e cattivi.
Ripeto: non c’è nulla di sbagliato in romanzi fantasy di questo tipo, che hanno creato mondi meravigliosi pieni di magia e avventure, in cui ognuno di noi, leggendoli, può sentirsi un eroe.
La maggior parte di queste storie hanno la straordinaria capacità di sviluppare nel lettore quello che potremmo chiamare “effetto Frodo”. Frodo non era né un cavaliere, né un combattente e non aveva tenuto mai in mano una spada prima che Gandalf lo reclutasse. Come tutti gli hobbit, Frodo era una creatura pacifica e nella terra di mezzo nessuno avrebbe mai pensato che un piccolo hobbit potesse, un giorno, salvare il mondo. Sono storie che sostanzialmente sanno come potresti sentirti insignificante e impotente nel tuo quotidiano e riescono a restituirti un te stesso eroe che invece, nel suo piccolo, può diventare il motore più importante di tutti. Senza mentirti e senza l’ombra di una bugia, ti restituiscono il tuo proprio potere quando la tua autostima ha permesso che lo perdessi.
Sono storie bellissime, è necessario che ci siano e rendono il mondo un posto migliore. Peccato che Tolkien c’era già stato e aveva già scritto. Come spesso succede anche con le serie tv criminal o medical in cui gli esperti dei rispettivi settori devono scovare un assassino o una malattia complessa, la ripetizione e la copiatura involontaria sono dietro l’angolo e non ci si può fare molto, salvo cercare di reinventare la propria storia e renderla unica.
Martin ha avuto un discreto successo coi suoi sette regni, anche se ad essere onesta tale successo io lo attribuirei di più alla serie tv, decisamente mainstream, che allo scrittore stesso.
In “Eragon” potevano svilupparsi due cose in modo innovativo: uno era il rapporto tra il protagonista e il fratello e per quanto mi riguarda, questa possibilità, va completamente in malora alla fine del secondo libro. L’altro era legato al rischio estinzione dei draghi, che nel mondo di Paolini è un dato importante. Cosa molto affascinante, ma che ahimè dopo “Dragonheart” non costituisce la grande innovazione che speravo di vedere.
Insomma, già le premesse non erano incoraggianti.
Dovendo dare a Cesare quel che gli è proprio, diciamo anche che resta pur sempre un libro scritto da un ragazzo di quindici anni, che è stato in grado di vendere milioni di copie e che ai lettori è quindi inequivocabilmente piaciuto. Sotto questo profilo, lo so, dovremmo salvare anche capolavori come “After”, ma non è esattamente quello che intendevo, perché Paolini non ha fatto danni morali e psicologici. Ci siamo chiariti? Nel 2002 è ciò che gli amanti del genere potevano sperare di leggere e non ho dubbi a questo proposito.

IL FILM
Ora, ditemi voi com’è possibile che un cast comprendente Jeremy Irons, Sienna Guillory, Robert Carlyle, Joss Stone e soprattutto John Malkovich possa recitare quello che fondamentalmente è stato un autentico flop. Eppure è così e Stefen Fangmeier, regista, ne è tristemente la causa. Sono piuttosto convinta che solo nel 2006, anno di uscita del film in questione, il pover’uomo si sia visto ricevere più critiche di quante sia eticamente giusto riceverne in una vita intera. Inoltre, ho delle serie remore a mettere in croce colui che, effettista di professione ed evidentemente regista per puro masochismo, è stato anche il supervisore agli effetti visivi del film “Lemony Snicket – Una serie di sfortunati eventi”.
Quindi, senza condannare alla perpetua gogna Fangmeier, posso dire questo: la mancanza di innovazione, in risalto nel film, è stata portata di base dal libro. La pellicola ha semplicemente reso più evidente questa specifica.
Comunque, se nomi come Irons o Malkovich, a carriere già ben più che avviate, non ne hanno risentito e hanno continuato a mietere discreti successi dopo “Eragon”, cosa più che normale per degli attori con secoli di esperienza e cassa forti piene di fama mondiale, non è purtroppo stato lo stesso per tutti.
Garrett Hedlund, già visto nel 2004 in “Troy” e che credo possa considerarsi un discreto attore, ha avuto ben poche possibilità successive. È un attore che credo vada ancora scoperto, perché di potenziale, non c’è dubbio, ne ha.
Grazie al cielo, quel genio di Robert Carlyle, che ricordo sempre con estremo affetto per “Full monty”, non è scivolato rovinosamente nel dimenticatoio e si è inserito molto bene in “Once upon a time”, un’altra serie tv mainstream e con tanti risvolti trash, ma che nel caso del suo Tremotino spacca in quanto a recitazione.
Infine è d’obbligo citare il protagonista, Edward Speleers, che se non erro ha proprio avuto il suo esordio cinematografico con “Eragon”, da protagonista e da attore abbastanza acerbo. Poraccio! Dopo questa esperienza pensavo di non vederlo più. Ma vi ricordate la nostra amica Diana Gabaldon e la sua fantastica saga di romanzi rosa, “Outlander”? Come dimenticare un capolavoro simile! Ridete pure di me, lettori, eppure vi dico che il primo antagonista di quella serie, grandioso Tobias Menzies, a seguito dell’esperienza settecentesca come giubba rossa, ha finalmente avuto un certo riconoscimento, visto che ora interpreterà il Principe Filippo nella serie tv “The Crown”.
Tutto molto bello, direte voi, ma cosa centra questo con Edward Spellers ed “Eragon”? Ebbene, cari amici, dovete sapere che il nuovo antagonista di “Outlander” è stato interpretato proprio da Spellers. Non l’avevo minimamente riconosciuto e in gran parte il motivo è che in quanto a recitazione ne ha fatta tanta di strada! Tanto che mi sono scoperta contenta per lui, felice che la sua carriera dall’inizio sfortunato, possa continuare ancora. Non sto scherzando, è veramente bravo e interpreta un personaggio che già sulla carta aveva il suo bel mucchio di sfaccettature.


IL CONFRONTO
Ragazzi, che confronto volete che vi faccia? Per me non ci siamo né da un verso, né dall’altro, ma vi consiglio comunque di dar loro un’occhiata, se avete voglia di perdere un po’ di tempo. Quanto meno in virtù del fatto che meglio leggerne uno in più, piuttosto che uno in meno… Eccetto per “After”. Per quello valutate un po’ meglio.

Io vi saluto e vi auguro buon proseguimento!
Alla prossima, lettori!
-Liù

Nessun commento:

Posta un commento