venerdì 23 febbraio 2018

Thriller - Capitolo 8



Buongiorno e bentrovati lettori e lettrici, oggi torniamo con il nostro appuntamento ormai navigato con Wulf Dorn. Oggi infatti parliamo di un thriller che vede di nuovo tra i protagonisti il dottor Mark Behrend, psichiatra, già incontrato nella prima opera dell’autore “La psichiatra”.

Dei suoi libri, ad oggi, mi manca di leggere solo “Incubo” e “Gli eredi”, che ancora non posseggo ma rimedierò in qualche modo.
Mi rendo conto che recensire un ulteriore libro dell’autore dopo averlo fatto per ben quattro volte sembra superfluo, ma è più forte di me. Come un bisogno profondo sento di dovervi raccontare qualcosa di questo libro, forse perché riesce sempre a combinare in maniera differente e creativa la psichiatria e la psicologia con i crimini e i delitti. Ed è questo che tiene tutti noi lettori accaniti del genere attaccati alle pagine del libro fino a tarda notte.
Per evitare spoiler probabilmente questa recensione sarà più breve del solito: sapete che quando parlo di thriller preferisco non dilungarmi troppo e inoltre di Dorn ho già parlato a più riprese.
Anche in questo caso, come nella sua prima opera, Mark non è il protagonista diretto, ma l’aiutante di coloro che vivono in prima persona il dramma, in questo caso Sarah Bridgewater, amica d’infanzia che si trova alle prese con uno sconosciuto che dice di essere suo marito, indossa i suoi vestiti, si comporta come lui, sa tutto quello che il marito sa, ma non è lui. Mark sarà l’unico a crederle e a darle il suo aiuto.
La storia si svolge, questa volta, a Londra e non a Fahlenberg o in Germania, infatti è lì che Mark è cresciuto ed ha studiato, ad Oxford con Sarah. Le ambientazioni sono infatti differenti ma non meno interessanti.
Quello che secondo me l’autore è sempre riuscito a trasmettere, o che semplicemente io ho colto nel suo modo di esprimersi, è l’umanità che sta dietro al criminale/assassino/persecutore. Quella che fino alle ultime pagine e alle ultime rivelazioni sembra essere solo una pazzia, una crudeltà che non conosce limiti, si trasforma in una debolezza umana talmente disarmante da sconvolgere. Fa nascere un dialogo interno che può portare alla comprensione del crimine commesso, senza però giustificarlo a causa dell’efferatezza che lo ha caratterizzato e delle conseguenze che ha causato. Non posso fare altro che trovare tutto questo molto giusto, se questo termine si presta bene al mio intento: comprendere le motivazioni e le origini alla base di un'azione contribuiscono a far sì che l’evento non si ripeta e a prestare maggiore attenzione a quello che si fa, a volte troppo spesso, in automatico.
Un messaggio che ho colto all’interno di questo libro è l’importanza della quotidianità e come spesso ci si trova di fronte a qualcosa che ci piace ma che rimandiamo e procrastiniamo in vista di una futura felicità, ancora migliore. Il problema è che questa felicità maggiore forse non esiste e si rischia di perdere tutto, anche quelle piccole gioie certe, per qualcosa di puramente astratto. Mi fa pensare a quelle persone che si pongono sempre nuovi obiettivi da raggiungere senza mai fermarsi un po’ a godere del loro raggiungimento e del proprio successo: prima la maturità, poi la laurea triennale, poi quella magistrale, poi un lavoro, una carriera, il matrimonio, il figlio e così via, in una vita piena di ansia e nemmeno una gioia.
Vi consiglio, quando vi trovate di fronte ad una gioia, mollate tutto e godetevela per almeno una sera.
Il romanzo dell’autore che più mi ha colpito e che ha avuto il colpo di scena più sconvolgente resta il primo, ma gli altri non sono meno belli o meno entusiasmanti. Per questo ve lo consiglio, anche se era scontato già dalla prima riga. Spendete qualche ora per leggerlo e riflettere sulle cose belle che vi capitano e a cui non avevate mai dedicato abbastanza tempo.
Buona lettura!

-Pearl

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