mercoledì 28 febbraio 2018

Mai giudicare un libro dal suo film... e viceversa! - Broken


ATTENZIONE!

Avvisiamo i nostri gentili lettori che questa rubrica conterrà spoiler sia sui libri che sui film che verranno trattati. Inoltre ci teniamo a sottolineare che non è una battaglia in cui uno dei due mezzi comunicativi vince sull’altro, ma è un confronto degli aspetti positivi e negativi di ciascuno per cercare di capire se l’adattamento cinematografico ha trasmesso l’idea originaria dell’autore o se invece se ne è discostato per raccontare qualcosa d’altro. Non parliamo di meglio o peggio ma di un confronto alla pari tra due canali comunicativi differenti


Buon giorno amici lettori e in questo caso anche cinefili!
Chi l’ha detto che queste due potenti dipendenze, libri e film, non possano coesistere con armonia in una singola persona soltanto?

Avere Tarantino e Donna Tartt come spacciatori non è mica male e secondo me uno sballo insieme ai due è ancora meglio!
Eccoci giunti al secondo appuntamento della nostra neo-rubrica, nata solo un paio di mesi fa, di cui il nome è troppo lungo perché io abbia voglia di ripeterlo continuamente, o anche solo quando serve.
Ho tanto parlato, in lungo e in largo, di “Broken” e del suo autore Daniel Clay e ho tanto apprezzato questa storia che la sua ascesa nella rubrica “Books versus movies” mi sembrava d’obbligo.
Vi immaginate la mia faccia quando ho scoperto che vi avevano fatto un film? Probabilmente l’emoticon dagli occhi a cuoricino non era abbastanza, quindi immaginate il visibilio quando poi ho letto il cast.
Ma andiamo con ordine e non bruciamo le tappe!

IL LIBRO
Del libro ho pubblicato una recensione, tempo addietro e ne sono particolarmente soddisfatta, anche se ci terrei a riprendere un paio di cose, giusto per non far perdere il filo a nessuno.
Non per me. Non è che mi piace parlare di “Broken” e ripetere le stesse cose trecento volte. Assolutamente! Non scherziamo! È tutto per voi, credete a me!
La nostra protagonista è una ragazzina di undici anni: Skunk. Skunk vive col padre, il fratello e la ragazza alla pari Cerys in un quartiere semplice e dalle poche pretese in Inghilterra. Qui, il vicino Bob Oswald, padre single di cinque figlie, tiranneggia su tutto il vicinato con insulti e violenza. Di tali atti aggressivi e prepotenti ne sarà l’estrema vittima il secondo vicino di Skunk, ovvero il fragile Rick Buckley, che verrà pestato a sangue e traumatizzato fino a rinchiudersi in sé stesso e ad avere problemi mentali.
In questo libro si sente tanto la mancanza delle istituzioni quanto la forte presenza delle psicologie dei personaggi. La mancanza delle istituzioni la individuiamo in un corpo di polizia che svolge male il suo lavoro e nel giovane professore di Skunk, il signor Mike Jeffries, che è probabilmente l’unico punto di riferimento della ragazzina in una scuola comandata da bulli e bullette, ovvero le figlie di Bob Oswald. La forte caratterizzazione psicologica, invece, la vediamo soprattutto nell’altro protagonista, quello nascosto, ma non troppo nascosto: Rick Broken Buckley, che da vittima diventerà il carnefice di crimini tremendi ed efferati; un personaggio in cui l’autore ci fa immergere profondamente puntando le luci su ogni angolo segreto del suo inconscio.
Spesso associo questa storia a lavori come “Il seggio vacante”, “Skins”, “Shameless”, “Misfits” e chi li conosce saprà darmi ragione. In ognuno di questi casi parliamo sempre di uno stile puramente inglese, dissacrante e squallido al punto giusto, come un rave in periferia.
Sarà che incontrano i miei gusti, sarà che Daniel Clay ne sa qualcosa della mente umana, sarà che leggere “Broken”, anni fa, è stata un po’ un’epifania personale. Per qualsiasi ragione continuerò a promuovere “Broken” e a pieni voti!

IL FILM
Il regista, Rufus Norris, mi deve delle scuse.
Ammetto che la mia aspettativa era piuttosto alta, ma come si fa ad impiegare così male Cillian Murphy e Tim Roth? Dico, non è facile! A parte il fatto che in realtà, su loro due, non ho davvero nulla da dire. Sia Murphy che Roth sono sempre bravi, anche se credo proprio che i personaggi di questo film siano stati, per loro, decisamente dei ruoli minori, almeno nel quadro più generale dei loro curriculum.
Chi lo sa, probabilmente non è colpa davvero di nessuno, ma la versione cinematografica non mi ha entusiasmato per niente.
Per carità, non sto parlando di una completa schifezza, ma purtroppo penso sia stato difficile tenere il passo col libro.
Le atmosfere ci sono e la vita del quartiere è ben descritta a livello visivo, ma credo ci siano alcune forzature che francamente mi sono arrivate a fatica.
Ottima la scelta della colonna sonora, questo posso dirlo e soprattutto il fatto di far cantare la canzone principale all’attrice protagonista, Eloise Laurence. Mi sono innamorata di “Colours” cantata da lei e credo di averla ascoltata a ripetizione per una stagione intera, dopo la visione del film.
Proverò a lasciarvi i link per accedere alla canzone su youtube.

Sinceramente non so cosa avrei pensato se avessi visto il film senza aver letto il libro, ma così non è stato ed è forse inevitabile, per me, far prevalere l’opera scritta.

CONFRONTO
Skunk me l’hanno trasformata in diabetica e non ho idea del perché, le sorelle Oswald sono scese di numero e addirittura alcuni nomi sono cambiati. Ok, ok, la cosa la supero anche agevolmente.
Se non si vogliono contare i cambiamenti fatti, che sono sempre pronta a capire perché per esigenze registiche tante diversificazioni sono davvero necessarie, allora partiamo semplicemente dal fatto che la carica emotiva si è completamente dimezzata, non vi dico quella psicologica.
Indiscutibilmente vero il fatto che il libro ti permette di entrare maggiormente nella testa del personaggio, se è quello l’intento dell’autore. In questo caso il libro ha la giusta tempistica, si parla proprio di “modalità di raccontare una storia” e la modalità scritta è decisamente avvantaggiata, perché ha più tempo a sua disposizione.
D’altra parte è altresì vero che il mondo della recitazione, se ho davvero imparato qualcosa di storia del teatro all’università, dovrebbe essere la forma di rito psicologico per eccellenza e se non è recitando che si può tirare fuori la carica emotiva di un personaggio, non so davvero in che altro modo si possa fare. Credo proprio siano mancati dei passaggi fondamentali nell’evoluzione narrativa di Broken Buckley, che non hanno permesso al fruitore della storia di porglisi così vicino come invece succede quando si legge il libro e fondamentalmente, questa, è una delle chiavi più importanti del romanzo: il riuscire ad avvicinarci così tanto ad una persona capace di cose terribili e che, proprio per essere entrati in empatia con essa, non riusciamo a condannarlo.
Per quanto mi riguarda il film resta con delle lacune non indifferenti e pur non facendo acqua da tutte le parti, è un film che ho avuto il piacere di guardare una sola volta; non credo mi verrà mai voglia di ripetermi.
Detto ciò, però, c’è anche da dire che comunque ne consiglierei la visione così come ho consigliato il libro. Non lo condanno, né lo giustifico, indi per cui non so se si possa giocare sul vecchio modo di dire “senza infamia e senza lode”, ma credo di esserci abbastanza vicina.
Lo consiglio si, ma con riserva, vale a dire con un consiglio in omaggio: prima leggetela, questa storia.

Per ora è tutto, ora vi lascio alle vostre letture, o perché no, ad una buona visione.
A presto!

-Liù

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