venerdì 2 febbraio 2018

Narrativa - Capitolo 8


Altro che “Miele”! Questo romanzo è più simile a un uovo di Pasqua con tanto di sorpresa finale! E non sono sicura di aver capito cosa sia la sorpresa.
Lo confesso, amici. Io ero entrata in biblioteca con la chiara e determinata intenzione di aggiudicarmi un altro McEwan, o più precisamente: “Lettera a Berlino”. Gli altri erano solo
piani B e seconde scelte. Ahimè, in mancanza del libro privilegiato, ho dovuto ripiegare su questi ultimi ed ecco spuntare “Miele” fra le mie piccole manine da hobbit che ormai da molto non hanno la più pallida idea di che cosa significhi manicure, né del tempo per scoprirlo, ma ben decise ad afferrare saldamente il tempo per leggere qualcosa di nuovo; ero ben decisa a farmi piacere McEwan.
Quando la trama ti intriga perché si parla di Londra, anni settanta, intelligence e servizi segreti, devo proprio dirvelo, le aspettative sono puntate su una storia completamente diversa e per quanta fatica mi costi ammetterlo sono invece precipitata in un baratro molto profondo.
Non voglio dire che “Miele” è un brutto libro, perché non è così. Anzi, ha una scrittura piacevolissima, esperta e un tipo di capacità descrittiva che ha incontrato spesso il mio gusto.

Mentre io, ancora figlia unica, nella mia carrozzina blu savoia ammortizzata e con i raggi d’argento, viaggiavo avvolta da cuffietta e splendore tra il presbiterio e i negozi in paese, Tony trattava con i suoi contatti, azzardando qualche frase in russo con quel suo modo spaccone.

I fazzolettini di carta stavano spadroneggiando, come i carrelli del supermercato. Il mondo iniziava a diventare seriamente usa e getta.

E ancora:
Tom e Ian avevano raggiunto quello stadio alcolico in cui la conversazione pattuglia all’infinito i modesti perimetri di un dettaglio marginale.
Nonostante tutto ciò, non posso fare a meno di notare le cose che non mi sono piaciute. Cose che, in fondo, non sono brutte in sé e per sé, ma che hanno mal sopportato la mia aspettativa, cioè quella di una storia piuttosto dinamica. Non un thriller vero e proprio, non guardavo a quel genere, ma qualcosa di un pochino più movimentato rispetto a ciò che si è rivelato essere questo romanzo.
La trama può essere riassunta in questo modo: da una borghesissima famiglia protestante dell’Inghilterra anni settanta, Serena Frome si trasferisce a Londra, dove il suo ex amante le ha procurato un impiego nel Mi5, un importante organo dei servizi segreti britannici, intento a monitorare guerra fredda da un lato ed exploit dell’Ira dall’altro.
All’interno del Mi5, le donne possono ambire a ben pochi ruoli rilevanti e la paga riservata alla maggior parte di loro basta a malapena per vivere. Perché mai Serena Frome, laureata a Cambrige in matematica, seppur con voti mediocri, ci tenga così tanto a questo lavoro non lo capirò mai fino in fondo, anche se spesso, bisogna dargliene atto, si parla della forte connessione che Serena sente tra il suo lavoro da “segretaria segreta” e colui che glie l’ha procurato: il suo ex amante, tristemente morto a causa di un tumore poco prima della sua assunzione. Forse è per fedeltà a quel passato rapporto che lei continua a rimanere fedele all’istituzione sopracitata, la quale ordina tanto e spiega poco, ma comunque Serena domanda ancora meno ed esegue.
A questo punto io credevo cominciassero a sollevarsi enigmi e complotti all’interno del Mi5 e vi dirò, qualcosa sembrava anche smuoversi. Poi, però, si fanno passi indietro e il picco di suspense, o per così dire l’alzata del velo da me attesa, non arriva.
Questa, fondamentalmente e a dispetto di ciò che mi ero immaginata, è una storia d’amore. Non tra Serena e il suo primo amante, o il suo secondo amante, o il terzo, bensì tra la ragazza e uno scrittore che il Mi5 le ha ordinato di reclutare, attraverso la cosiddetta operazione “Miele”. La ragazza però, non può rivelare l’ente interessato e dovrà mascherarlo dietro un nome fittizio dal suono più innocuo e meno politicizzato.
Serena si innamora dei racconti di Tom prima ancora che dell’uomo in carne ed ossa e non è difficile approdare alla situazione in cui la storia tra i due è ormai abbastanza solida e lei vorrebbe confessargli la verità, ma si fa troppo codarda per concretizzare il suo desiderio, terrorizzata all’idea di perdere l’uomo che ama.
Passiamo dalle basi della storia, gettate per creare la situazione iniziale, ad un’impalcatura che è lenta ad ingranare, dove il punto centrale è costituito dai racconti brevi di Tom – i quali sembrano degli esercizi di scrittura dello stesso McEwan, inseriti quasi fossero “d’avanzo”, come gli ingredienti usati per il polpettone domenicale – con l’aggiunta di alcuni smascheramenti che riscaldano un po’ l’ambiente, ma sempre in modo moderato: grande rincorsa per un salto assai piccino.
Infine, incredibile ma vero, si conclude col botto. Almeno una soddisfazione dovevano darmela! Tutto si concentra negli ultimi capitoli, arrivando ad un finale che se non è a cardiopalma (e non lo è), quanto meno risulta abbastanza inaspettato, o comunque io non l’ avevo previsto e l’ho gaiamente preso come il contentino che volevo.
Sinceramente? Faccio tantissima fatica a farmi un’opinione su questa storia. Perché lo so che è interessante e soprattutto intelligente. Lo si capisce dal punto di vista che vuole mettere a fuoco: quello di una giovane donna, estranea al pensiero politico di sinistra degli anni ’70, sottovalutata spesso e volentieri dall’intelligence che lei stessa promuove a gran voce.
Se Tom scrive una distopia accusatoria nei confronti della mentalità consumistica occidentale, viene detto che il suo libro è un lavoro pessimo, con argomenti troppo alla moda e una tendenza a simpatizzare per l’URSS. Se si descrivono degli Hare Krishna per strada, Serena li vedrà nello stesso istante in cui starà mettendo in dubbio il suo rapporto sentimentale e li odierà. Se parliamo della sorella hippie della protagonista, sappiamo anche che lo stesso personaggio potrebbe fare di meglio per avere più successo, una carriera e una vita felice. È un punto di vista, un carattere, che si fatica a trovare nei libri e che forse, per certi versi, è anche pericoloso. Perché Serena non ha un carattere disarmante, tutt’altro. Dice “Si” più volte di quanto il lettore vorrebbe e sembra quasi che McEwan abbia avuto la completa intenzione di non fartela piacere. Almeno per quanto mi riguarda, è precisamente a quel punto che mi ha portato. Troppo educata. Forse è questo il grande difetto di Serena Frome, figlia del vescovo e borghese dalla testa ai piedi; dalla testa coperta di boccoli biondi ai piedi spesso fasciati in scarpe col tacco. Sempre impeccabile e un sapore delicato. Quanto ci gonfiamo il petto, nel nostro quotidiano, per poi alla fine capitombolare nei panni di una Serena Frome qualunque? Se da un lato la protagonista sembra di poco carattere, e così non è, dall’altro è più umana e realistica di quanto si vorrebbe ammettere.
 Il Mi5 è descritto e giostrato bene, ha tutta l’intenzione di suscitare indignazione nel lettore sia per ciò che rappresenta, sia per le figure che lo costituiscono, sopra tutti il viscido Max.
Tutti i personaggi hanno profondità, sono tridimensionali. Vogliamo parlare di Shirley? L’amica e inizialmente collega di Serena, dal carattere forte e impulsivo, che fa fatica a tenere la bocca chiusa e che si risolleva sempre da sola. La caratteristica preponderante di Serena è l’aspetto fisico, accompagnato ad una sorta di eleganza interiore tipica della sua classe sociale. Shirley, figlia di proletari, è invece sfacciata, arrogante, anche politicamente scorretta e io non ho potuto che apprezzarla.
Resto convinta del fatto che sia stata la trama ad avermi fregata. Non sto parlando di aspettative troppo alte rispetto al romanzo, bensì di aspettative diverse e tanto è bastato per sentire la lentezza di certi capitoli più marcatamente di quanto avrei fatto di solito.
Detto ciò promuovo comunque “Miele” e con voti molto oltre la sufficienza, ma va da se che quando troverò “Lettera a Berlino” – e lo troverò – non mi basterà più un contentino finale.
Confido in te McEwan! Io ci credo ancora!
Detto ciò vi auguro un buon fine settimana e vi saluto! Alla prossima, lettori!

-Liù

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