mercoledì 11 luglio 2018

Cara Emmeline - Helena, Gerda e il premio Strega



Mi vergogno ad ammetterlo, ma è così: non sarò mai capace di pronunciarlo, è troppo difficile. E invece pare proprio che il nome di Helena Janeczeck sia sulla bocca di tutti. Adesso che si è guadagnata il settantaduesimo premio strega con 52 voti di scarto dal secondo classificato Marco Balzano, la carriera della scrittrice dalle origini ebreo-polacche è ufficialmente decollata.

Nel frattempo, spero per Balzano che non passi alla storia come colui che ha fatto bene a perdere, perché era ormai da troppo tempo che il premio Strega non veniva vinto da una donna, indi per cui era inevitabile che fosse l’ometto in gara a lasciare il posto.
Era infatti da ben quindici anni che l’ambito riconoscimento letterario non approdava nelle mani di una donna. L’ultima scrittrice ad averlo ottenuto prima della Janeczeck, è stata Melania Mazzucco, che nel 2003, con il suo romanzo “Vita”, si aggiudicò la vittoria.
Ammettiamolo: “La ragazza con la Leica”, romanzo vincitore della Janeczeck, è sicuramente valido. Lo è perché è innovativo e inusuale, perché è scomodo e soprattutto perché è impegnato. È innovativo perché è una biografia romanzata che parla per immagini, dal momento che il centro di tutto il romanzo è la figura della fotografa tedesca Gerda Taro, compagna di Robert Capa e prima fotogiornalista donna a morire in guerra. Nonostante sia un romanzo scritto vero e proprio, ci si gioca sugli scatti della coppia e per quanto mi riguarda, la Janeczeck ha anche fatto bene a giocarci. È scomodo perché nell’attuale situazione politica europea non è facile portare alla ribalta la storia di una donna forte e indipendente che a soli 26 anni si guadagnò un funerale per le strade di Parigi, a bandiere rosse spiegate. Ed è impegnato perché se si parla di guerra si parla anche di politica. Cattiva politica, per essere precisi. Politica che toglie la vita a fotoreporter investiti da carri armati, per essere ancora più precisi.
Non sarà una storia allegra, ma è di sicuro una bella storia, che vale la pena di essere raccontata e che Helena Janeczeck è stata capace di raccontare, basando il suo romanzo su fonti storiche vere e proprie.
La storia è presentata da tre punti di vista diversi di persone realmente esistite: Willy Chardack, innamorato non corrisposto della Taro, l’amica Ruth Cerf e Georg Kuritzkes, fidanzato precedente a Capa. Anche questi non sono facili da pronunciare, comunque.
Testate giornalistiche, virtuali e cartacee, non hanno fatto a meno di evidenziarlo: era da quindici anni che non vinceva una donna. Sembra essere la notizia più interessante ruotante attorno a questa vittoria. Tanto che ci sarebbe da chiedersi se “La ragazza con la Leica” abbia vinto per le sue caratteristiche vere e proprie, o perché dire che finalmente, dopo tanto tempo, aveva vinto una donna faceva tanto, ma tanto bello. È la domanda che mi sono posta più frequentemente da quando sono venuta a conoscenza della notizia e devo dire che una risposta ancora non l’ho trovata.
Vivere un momento storico di ferventi cambiamenti sul fronte femminista è di certo un gran vantaggio. Si mette in discussione sé stessi, le proprie convinzioni, i propri schemi sociali, lo status quo e il cambiamento che ne deriva, positivo o negativo che sia, guadagna l’impatto più forte che può sul mondo artistico e culturale. Ma mi chiedo se questo non possa limitarne l’obbiettività sui giudizi di critica, letteraria o no. Sarebbe stato lo stesso se Helena Janeczeck fosse stata un uomo? Il suo romanzo avrebbe avuto il riconoscimento che merita? O addirittura si sarebbe innalzata la polemica sul fatto che per l’ennesima volta, dopo quindici anni, a vincere il premio Strega sarebbe stato ancora un maschio? Io di certo non l’avrei fatto presente.
Il dilemma è un circolo vizioso che sa di provocazione. Si può far osservare che la parità imporrebbe di premiare il migliore, indipendentemente da suo sesso, o si potrebbe porre l’accento sul fatto che ci sia ancora bisogno di supportare la produzione artistco-letteraria femminile, continuandone a rimarcare i successi di volta in volta, perché allo stato attuale delle cose, nella nostra società, ce n’è ancora bisogno.
Non ho molta fiducia nei giornali, sappiatelo. Sono molto critica nei loro confronti e sono convinta di doverlo essere perché è un lavoro estremamente utile per la comunità. Mi infastidisce l’idea che una testata giornalistica abbia il potere di ricombinare una notizia a suo piacimento, o che superficializzi certe tematiche femministe perché, ripeto, dire che dopo tanto tempo il premio Strega è stato vinto da una donna fa tanto, ma tanto bello.
Per quanto mi riguarda, e questa si che è la mia piccola provocazione, sarebbe stato più significativo concentrarsi sulla storia che “La ragazza con la Leica” va così ben raccontando e sulla figura della coraggiosa Gerda Taro, che forse di femminismo e di attivismo ne sapeva qualcosa.
Voi cosa ne pensate?
Quando è utile, alla causa femminista, far notare che “la mano creativa” di cui si parla è una mano femminile e quando, invece, sbandierarlo ai quattro venti diventa mera e inutile pubblicità; un trucchetto mainstream?
Fatemi sapere cosa ne pensate, se vi va.
Nel frattempo io vi auguro buon proseguimento e al prossimo intervento sul blog, miei cari lettori!


-Liù

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