venerdì 6 luglio 2018

Narrativa - Capitolo 11



D’accordo, ho deciso! I romanzi che hanno come tema principale del loro racconto un rapporto genitore-figlio li catalogo nella sezione “narrativa”. Ed ecco come “Io sono di legno”, di Giulia Carcasi è finito sotto questa dicitura, invece che nell’insieme dei “romanzi familiari”.
Sarà una frivolezza, ma ho una certa immagine
dei romanzi e delle saghe familiari, che prevede di avere al centro dell’attenzione un’intera famiglia – possibilmente numerosa, possibilmente con attriti e dinamiche complesse intrecciate l’una sull’altra – anziché un singolo rapporto tra due persone.
Ovviamente voi potete disporre di questo libro e potete ordinarlo nella vostra mente come meglio credete. Anzi se vi va potete anche contraddirmi e farmi sapere il vostro punto di vista.
Nel frattempo, visto che Zucca è stato così gentile da citare questo romanzo fra i consigli di lettura per l’estate, vi racconto la mia esperienza con Giulia Carcasi.
Vi dirò, non è iniziata nel migliore dei modi. Tantissimi anni fa avevo letto “Ma le stelle quante sono”, salvo poi fermarmi a metà del racconto, decidendo di lasciarlo definitivamente perdere. Perché allora ne parlo come se l’avessi completato? Semplice: perché “Ma le stelle quante sono” si divide in due parti, che entrambe raccontano la stessa storia, ma da due punti di vista diversi. Io avevo letto il punto di vista di lei.
Sarà un mio invalicabile limite, me ne rendo perfettamente conto, ma odio profondamente questo tipo di scelta narrativa.
Non mi disturba il fatto che, all’interno di un romanzo, si alternino punti di vista diversi, così che ad ogni persona corrisponda un tot di capitoli e noi possiamo proseguire la nostra storia in modo omogeneo, o nella direzione che l’autore ha scelto di farci percorrere.
Mi disturba, invece, il fatto che si scelga di raccontare due volte, se non di più, la stessa identica storia, ma da due punti di vista diversi.  Non riesco a vederci un grande arricchimento alla storia stessa, quanto piuttosto un tentativo di vendere di più con uno sforzo minore. E ripeto: lo so che questo discorso non si può applicare ad ogni singolo romanzo di questo tipo; riconosco sia un mio limite. Ma che ci volete fare? Sono una lettrice onnivora, ma non fino a questo punto. Ho un palato anche io, dopotutto!
Con “Io sono di legno” è andata decisamente meglio, comunque e forse vi farà piacere sapere che sono qui per promuoverlo nel migliore dei modi.
La storia è incentrata, appunto, sul rapporto tra Giulia e sua figlia Mia. Giulia e Mia sono la vera famiglia l’una dell’altra e Giulia, come molte madri decidono di fare, legge di nascosto il diario personale di Mia; di una figlia che mal sopporta le chiacchiere, la troppa confidenza e che come tutti gli adolescenti, non ama parlare apertamente con i propri genitori.
L’onestà di Giulia, però, le impone di pagare un prezzo per questa invadenza e un po’ per questo, un po’ perché la storia della figlia la riporta indietro negli anni alla sua giovinezza, alle sue gioie e ai suoi dolori, decide di raccontarli a sua volta e di raccontare la propria personale storia. Una storia per una storia.
Così si procede, quindi, nella quotidianità di due vite, tra parallelismi e opposti.
Giulia si scopre a raccontarsi, per un suo bisogno tanto quanto per aiutare la figlia a fare chiarezza nella sua giovinezza.
In questa doppia storia, che finalmente trova delle modalità a me confacenti, il rapporto si fortifica laddove aveva bisogno di essere fortificato e si consolida laddove aveva bisogno di trovare sicurezze.
Mi piacciono i romanzi che parlano di donne forti, soprattutto quando le donne forti in questione si spogliano della loro armatura da combattenti, per mostrarsi in tutta la loro fragilità e raccontano la loro verità; quando dicono al lettore che provare dolore, provare emozioni e farle vedere non è da deboli.
“Io sono di legno” fa esattamente questo e lo sbandiera nel titolo stesso.

Il legno sembra fermo, ma è sottoposto a pressioni interne che lentamente lo spaccano.
La ceramica si rompe, fa subito mostra dei suoi cocci rotti.
Il legno no, finché può nasconde, si lascia torturare ma non confessa.
Io sono di legno.

Cosa tenta di comunicarci, Giulia Carcasi, con questo titolo? Forse che siamo molto più forti di ciò che crediamo e molto più deboli di come ci mostriamo? È sicuramente un’ipotesi da tenere in considerazione. Qualsiasi cosa si può leggere tra le righe è certo che la penna della Carcasi è profondamente poetica ed evocativa, quasi una poesia e che per questo ben si confà alla brevità. “Io sono di legno”, infatti, si dispiega in non più di centoquaranta pagine, è leggero e si legge facilmente, ma sa essere anche denso e pieno; un piccolo frutto maturo che quest’estate, esattamente come fa il nostro Zucca, vi consiglio anch’io di mordere.
Sappiatemi dire com’è il succo e se vi ho consigliato bene.
Vi lascio alla calura, nella speranza che possiate trovare un metro quadro di ombra in cui riposarvi leggendo.
Arrivederci alla prossima, lettori e buon weekend!


-Liù

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