venerdì 7 settembre 2018

Saggio - Capitolo 7




Buongiorno e ben tornati sul blog.
Visto che questa settimana è dedicata alla scuola, come avrete notato dai due post usciti lunedì e mercoledì, questa settimana ci concentriamo su un saggio molto recente, del 2013, edito da Ponte alle Grazie e scritto da Maria Konnikova. Esso è dedicato ad un argomento molto vicino al rientro a scuola e funzionale allo scopo che essa dovrebbe avere: l'adattamento al mondo esterno e la sopravvivenza.

L'autrice è psicologa con un dottorato conseguito alla Columbia University, ha scritto molto per giornali ma anche per la televisione e ha pubblicato due libri. Il focus che segue riguarda l’applicazione delle teorie psicologiche alla vita quotidiana di tutti i giorni.
Ed è quello che fa anche in questo caso. Il libro in questione si intitola “Mastermind. Pensare come Sherlock Holmes.” Per chi di voi ci segue da un po’ non sarà difficile arrivare a comprendere come mai io abbia scelto di leggere questo libro. E senza averlo nemmeno letto prima! Senza bisogno di utilizzare il metodo deduttivo dell’investigatore più famoso al mondo. Leggendo la trama o per meglio dire, l’abstract di questo lavoro si potrebbe cadere in inganno, come è successo a me. Infatti un libro che promette di aiutarci a pensare come il grande personaggio di Conan Doyle sembra essere il coronamento del sogno di tutti noi aspiranti investigatori. Invece, mi duole darvi questa notizia, ma questo libro non insegna a catturare i cattivi e nemmeno a risolvere i misteri, ma spiega l’importanza di essere più consapevoli del mondo che ci circonda e quindi maggiormente in grado di prendere decisioni o esprimere giudizi.
Questa “delusione” che si presenta all’inizio della lettura non è certo colpa dall’autrice, ma è data da un mix di entusiasmo di noi lettori e dalla nostra incapacità a pensare come Holmes. Che poi alla fine se ne fossimo già in grado che senso avrebbe leggere questo libro? Sbagliato. Un ulteriore insegnamento del metodo di Sherlock e del libro stesso è l’importanza dell’apprendimento continuo, il long-life learning.
Non vi voglio raccontare i contenuti, perché ritengo che fare un riassunto sia inutile, ma mi concentrerò su alcuni aspetti che ho apprezzato o meno. In particolare mi è piaciuto il focus sulla psicologia e sulla sua importanza nella vita di tutti i giorni e anche nella investigazione in generale, mentre tutt’oggi è poco o per nulla considerata. Parla delle teorie della psicologia generale, quindi del pensiero con i ragionamenti, le euristiche, la formazione dei pregiudizi, delle impressioni, la forza del condizionamento nell’apprendimento eccetera. Per chi di voi conosce anche solo un po’ la materia saprà esattamente di cosa sto parlando, ma se voi per caso non siete tra questi, non preoccupatevi perché tutto quello che l’autrice ha scritto è perfettamente comprensibile anche per chi non ne ha mai sentito parlare prima.
La psicologa infatti utilizza uno stile semplice, scorrevole e allo stesso tempo accattivante suscitando la curiosità nel lettore . Questo dipende dalla alternanza che sfrutta tra spiegazioni, esempi e brani tratti dai racconti di Conan Doyle. Inoltre, anche se a volte si dilunga per alcune pagine nella spiegazione di come funziona il pensiero e la formazione per esempio di un pregiudizio, non è mai noiosa o banale e allo stesso tempo non risulta troppo scientifica. Come invece a volte succede nei saggi.
Ho molto apprezzato la sua metafora del sistema di pilotaggio automatico alternato a quello più logico e riflessivo e dunque alla loro attribuzione ai due protagonisti istituzioni dei racconti: Watson e Holmes. Lascio indovinare a voi l’abbinamento. L’ho trovata sia azzeccata sia esplicativa.
Inoltre ho apprezzato moltissimo il discorso legato all’immaginazione: spesso si ritiene che la fantasia e la creatività non siano scientifiche, e forse questo potrebbe essere vero, ma senza di esse la scienza non potrebbe mai proseguire e raggiungere nuovi traguardi. Senza pensare a modalità nuove e alternative per raggiungere l’impossibile questo resterà sempre tale. In particolare riporto una citazione significativa di Richard Feynman:
“È sorprendente che si possa non credere all’esistenza dell’immaginazione nella scienza . [Quella nella scienza] è un tipo di immaginazione molto interessante, diversa da quella dell’artista. La grande difficoltà sta nel cercare di immaginare qualcosa che non si è mai visto, che è coerente in ogni dettaglio con ciò che si è già visto, e che è diverso da ciò a cui si è pensato; per di più deve essere un’affermazione definita, non vaga. È davvero difficile.”
Un’altra metafora anch’essa bella ed esplicativa, ma già sentita, è quella della soffitta della mente. Pensare ovvero alla propria mente come ad una soffitta da riempire ma con informazioni utili e importanti, senza occupare spazio inutile. È già sentita sia da Sherlock, che da altri autori o personaggi, come per esempio Patrick Jane della serie TV “The mentalist”. Chiaramente può essere stata presa dai libri di Doyle, ma è comunque una metafora nota rispetto alle altre precedentemente citate.
“Dobbiamo stare molto attenti a non fare dell’intelletto il nostro dio; certo ha una muscolatura possente ma non ha personalità. Non può guidare, può solo servire; e non è molto esigente nello scegliere una guida.”
Ho apprezzato comunque il libro è la lettura, nonostante la delusione iniziale e posso anche dirvi già da ora senza spoilerare nulla che sarà praticamente impossibile raggiungere il personaggio cui tutti aspiriamo ma che si può migliorare e diventare se non proprio identici, almeno simili.
Quindi consiglio il saggio? Sì, non solo agli amanti di Sherlock ma a tutti, perché è un metodo di pensiero funzionale, che permette di vivere anche più serenamente e con maggiore senso di autostima e auto efficacia. Basta ricordarsi di non esagerare mai!
-Pearl

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