venerdì 19 gennaio 2018

Letteratura internazionale - Capitolo 19


Che uno degli scrittori migliori, se si vuole parlare d’amore, sia Marquez lo sapevo già da un po’. Era anche abbastanza chiaro che “Memorie delle mie puttane tristi” non fosse l’opera massima dell’autore, quando già era stata raggiunta l’eccellenza e il tripudio di malinconia tra
la fine degli anni sessanta e la metà degli ottanta, visto che “Cent’anni di solitudine” (1967) e “L’amore ai tempi del colera” (1985) si ben dividono scettro e corona. Tuttavia, per quanto questo romanzo breve possa sembrare piccolino, o inconsistente risulta invece molto piacevole e conclusivo di sé stesso.
“Memorie delle mie puttane tristi” racconta la storia di un eccentrico e anziano giornalista, critico musicale, che all’alba dei suoi novant’anni decide di regalarsi una notte di amore folle con un’adolescente vergine. Con queste premesse perfino tu, lettore, ti senti un po’ “sporco” già dalla prima pagina, ma è una sensazione su cui il libro porta a riflettere man mano che il racconto si snocciola.
L’adolescente vergine è una giovane di quattordici anni, che il protagonista, a dispetto di ciò che pensava, osserverà dormire per molte notti senza avere rapporti carnali con lei. La soprannominerà “Delgadina”.
È in questo modo, da addormentata e senza proferire parola, che Delgadina scatenerà nell’anziano uomo un sentimento mai provato prima, in novant’anni di vita: l’amore.
Il messaggio di fondo che possiamo cogliere in una storia così dolce e malinconica, quando si vede la malinconia come propria dell’anzianità, è forse il fatto che l’amore non possiede età e non è confinato solamente in uno specifico arco di tempo delle nostre vite, ma che invece è per tutti, provato e sentito da tutti e che da, in sé e per sé, la sensazione di essere giovane, anche a novant’anni. Le barriere del tempo vengono abbattute.
In un certo senso, questo libro “parte male”, o quanto meno “continua con sorpresa”, perché ci si aspetta che susciti sensazioni diverse, almeno riguardanti il desiderio e la pulsione fisica piuttosto che le emozioni profonde legate all’amore puro.
Esattamente come mi è successo con “L’amore ai tempi del colera”, ho creduto a tutto e sono rimasta fregata nello scoprire che la storia cambiava le carte in tavola dopo i primi capitoli, proseguendo in una direzione sconosciuta. Marquez me l’ha fatta un’altra volta.
L’incipit del protagonista, che parla in prima persona e che decide di regalarsi una notte di amore folle per il suo compleanno, infatti, manda un po’ fuori rotta. Non ci si aspetterebbe che il rapporto tra lui e la sua amata sia pieno di delicatezza e di dolcezza, per la maggior parte senza sesso. Si parla di un’intimità delicata, psicologia se vogliamo ed emotiva, che è più profonda di quella fisica.  Probabilmente Marquez voleva raccontarci proprio questa dolcezza e dirci che è possibile crearla tra due persone così distanti, soprattutto distanziati dalle loro rispettive età.
È vero, può non bastare. Può non bastare perché lascia un bel sacchetto pieno di domande. Ci si chiede se, allora, è concesso chiamare “amore” quello non corrisposto, se ci si può innamorare di una persona senza conoscerla, semplicemente osservandola mentre dorme, se stiamo parlando davvero di amore, oppure piuttosto dell’ossessione di un vecchio. Dubbi che forse restano irrisolti anche dopo la conclusione.
A questo proposito, sono convinta che “Memorie delle mie puttane tristi” tratti semplicemente di una piccola storia d’amore, che non aveva la pretesa di essere nient’altro da ciò che è e che non vuol dire nient’altro da ciò che dice. Marquez evita di indagare più a fondo perché non gli interessa farlo, non gli interessa dare un quadro completo di cosa significhi l’amore, o il concetto d’amore per lui, ma semplicemente racconta un pensiero concernente la vecchiaia e le emozioni. Va bene così ed è anche un po’ giusto così. È un racconto che dev’essere preso per ciò che è e apprezzato come tale.
Leggendo questo libro non si ha difficoltà a intravedere una sovrapposizione delle due figure, l’autore e il protagonista, probabilmente accomunati dalla vecchiaia, da cose più futili come la professione – Marquez è stato giornalista per molto tempo –  e da un condiviso modo di provare le cose. Questo permette di avvicinarci molto al personaggio e di non giudicarlo troppo aspramente.
Ovviamente anche lo stile di scrittura sembra gridare “Marquez” da tutti i pori e a gran voce. È chiaramente il suo tratto, non ce n’è per nessuno e come sempre, da il suo meglio quando descrive luoghi fatiscenti, decadenti, o realtà povere, delle volte anche degradate, ma sempre vere e palpabili; luoghi dove l’aria è pesante e le sensazioni empiriche, conosciute attraverso i sensi, sono molte. Quasi non ti accorgi che stai solo leggendo.
Consiglio a tutti questo piccolo romanzo, sperando di avervi suscitato un po’ di curiosità.
Vi aspetto alla prossima e buon weekend!


-Liù

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