venerdì 12 gennaio 2018

Narrativa - Capitolo 7


Buongiorno, popolo di Carattere!
Oggi altra recensione con un romanzo del 2002 che ha riscosso un grande successo, tale da portare ad un film nel 2009, 2010 in Italia. Parlo di “Amabili resti”. Non l’ho fatto rientrare nel genere thriller, ma ho preferito inserirlo sotto l’etichetta di letteratura internazionale semplicemente per un’opinione personale (e perché quando sono in dubbio corro a vedere sul sito della Feltrinelli e lì hanno confermato i miei dubbi). Ma di questa opinione vi parlerò più tardi.

“Amabili resti” è un libro dell’autrice statunitense Alice Sebold che ha riscosso molto successo fin da subito e narra la storia di Susan detta Susie Salmon, quattordicenne, uccisa nel 1973 da un vicino di casa, George Harvey. Vi spoilero subito l’assassino, semplicemente perché è la stessa protagonista a rivelarlo nelle prime pagine del racconto. Infatti il punto di vista è proprio quello della giovane vittima, che osserva il mondo e in particolare la sua famiglia dopo la sua prematura dipartita.
Lo stile di scrittura rispecchia perfettamente l’innocenza e la schiettezza di un adolescente che ha tutta la vita davanti, o che dovrebbe averla. È abbastanza crudo, tanto da poter essere in parte sconvolgente. Alcuni passaggi sono un pugno nello stomaco mentre altri sono pieni di tenerezza e di gioia, una gioia particolare, quella che si può vivere con l’amaro in bocca. Ho trovato questo stile inizialmente eccessivo proprio per la schiettezza di certe frasi e di certi passaggi, ma più avanti e soprattutto alla fine molto azzeccato.
La storia è ambientata negli anni ’70 e ’80, dunque bisogna riuscire a immaginarla calata nell’epoca e cercare di non lasciarsi trascinare troppo dalla trama perché alcuni personaggi rischiano di essere inquadrati in modo sbagliato se si perde di vista il contesto di riferimento.
La protagonista è un’adolescente e porta con sé le problematiche tipiche di quel periodo, la voglia di vivere, si pensa anche agli altri e non più solo a sé stessi ma è ancora difficile rinunciare a qualcosa definitivamente. In realtà la rinuncia resta sempre difficile, anche quando si è adulti, ma l’ho trovato particolarmente pertinente. La sua famiglia crolla nel baratro che ogni morte porta con sé, e la giovane età unità alla crudeltà del trapasso non fanno altro che peggiorare la situazione. Credo che l’autrice sia riuscita a rendere bene questa particolarità: il dolore e la voglia di lasciarsi andare che però si scontrano con la realtà che continua ad andare avanti lo stesso. Restare al passo con la nuova vita risulta devastante, ed ognuno lo vive a modo suo. Anche in questo la scrittrice è stata molto brava: la madre, il padre, la sorella ed il fratellino, e la nonna anche, esprimono il dolore in modo diverso, lo affrontano in modo diverso. Ma tutti soffrono.
Ci sono tanti altri personaggi nel libro, compagni di scuola, vicini di casa, insegnanti, tutti colpiti dall’avvenuto che si trovano a fare i conti con la paura e con l’incredulità. Tra questi sono ricorrenti e presenti per tutto il libro due amici: Ruth e Ray. La prima era una compagna di scuola con cui la protagonista non aveva mai legato particolarmente il suo spirito la tocca mentre scappa via dal corpo e per questo si sviluppa tra loro una connessione speciale. Ray è il ragazzino di cui Susie è innamorata e l’unico che lei abbia mai baciato.
Le ambientazioni sono quelle di un tranquillo quartiere americano, piccolo e familiare.
È una storia che coinvolge profondamente a causa protagonista che racconta in prima persona: il contrasto tra il suo racconto e la consapevolezza del lettore che lei non c’è è particolarmente forte. È facile immedesimarsi nei familiari, tutti abbiamo perso qualcuno, un nonno, un genitore, uno zio o un amico, un fratello, un figlio. Più la persona che abbiamo perso si avvicina all’età e alla morte della protagonista più ci sembrerà reale, ma tutti siamo in grado di vedere il punto di vista della famiglia. Anzi non lo vediamo, lo sentiamo, lo percepiamo come fosse nostro e questo è doloroso.
Devo dire che per i primi capitoli, non ricordo quanti ma minimo erano 6, non ho fatto altro che piangere ad intermittenza e questo è secondo me un chiaro segno di come l’autrice sia riuscita a creare l’atmosfera giusta.
Il mondo in cui la protagonista va, che sembra essere una sorta di universo a metà, che non è il paradiso o la meta ultima ma una sorta di via di mezzo, che le permette di andare e venire dal mondo in quanto la sua famiglia non è pronta a lasciarla andare e lei non è pronta a lasciare loro. Questa è una questione particolarmente reale secondo la mia opinione: finché noi non lasciamo andare, se così si può dire, la persona che abbiamo perso o il suo ricordo continuerà a restare nella nostra mente come una piccola ombra. Lasciarla andare però non significa dimenticarla, ma solo spostarla sotto la luce, e questo errore è il motivo per cui è così difficile lasciare andare. È solo un opinione personale, quindi non prendetela come verità assoluta. Anzi, non prendete mai nulla come una verità assoluta, mantenete sempre una buona dose di criticità.
Ad ogni modo ho adorato il libro e l’ho letto rapidamente. Non sono nemmeno 400 pagine, quindi ve lo consiglio, ma leggetelo con la consapevolezza che non è una favola per bambini: è pesante , ma non lo è in senso negativo! Penso che possa offrire tanti spunti di riflessione su di sé e su quello che abbiamo perso. È un’occasione di spostare un po’ sotto i riflettori quello che teniamo sempre in ombra. Per questo leggetelo solo se ve la sentite di fare i conti con tutto questo. Poi magari per voi non sarà così e non vi coinvolgerà in modo diretto e personale e in quel caso un po’ mi dispiacerebbe, ma sta a voi farmi sapere se siete d’accordo con me oppure no.
Buona giornata!

-Pearl

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