mercoledì 14 marzo 2018

Cara Emmeline - Casa di bambola



Cara Emmeline,
“Casa di bambola”, dell’autore norvegese Henrik Ibsen, non è di certo l’opera a tema “parità” più completa ed esaustiva che si possa trovare, ma è sicuramente uno dei primi tentativi di fare teatro riflettendo su questo argomento. Di conseguenza, almeno per quanto mi riguarda, è definibile come classico della letteratura femminista, oltre ad essere anche il primo libro del genere che ho letto. E si: è stato scritto da un uomo.

Se non è inclusivo non è femminista, giusto?
L’opera teatrale è suddivisa in tre atti, i quali trovano come protagonista indiscussa Nora, moglie devota dell’avvocato Torvald Helmer e madre dei loro tre figli.
Questo è dunque lo scenario iniziale: una borghesissima famiglia vittoriana sulla quale si abbatterà poi una sciagura proveniente dal passato. Il procuratore Krogstad, infatti, ricatterà Nora a causa di un prestito illecito che lei stessa aveva contratto, falsificando la firma del padre, per salvare la vita di suo marito. Il buon nome di Helmer rischia di essere infangato e con tale pericolo nelle vicinanze, di cui tutta la colpa viene ovviamente attribuita a Nora, Torvald decide di porre una distanza tra la moglie e i figli. Il piano viene meno quando la minaccia si allontana dal palcoscenico e il marito può tornare al suo sogno borghese con la moglie – tornata magicamente rispettabile in tre secondi – e pargoli al seguito. Tuttavia, anche con questa sfortuna scampata, qualcosa è cambiato. Anzi, qualcuno è cambiato: Nora, la quale si è vista crollare addosso tutte le certezze e tutta l’ammirazione che aveva per il marito, bistrattata dallo stesso a causa di un atto, per quanto avventato, di sincero amore per lui.
Aprendo gli occhi sulla sua vita coniugale, Nora decide che deve fare lo stesso con ogni aspetto della sua vita e che ciò implica inevitabilmente l’abbandono del nido domestico, la sua casa di bambola, dove viveva come una regina bambina.
Quest’opera, uscita e rappresentata nel 1879, venne aspramente contestata dalla critica e dall’opinione pubblica. Quale razza di madre con un minimo di umanità abbandonerebbe i suoi propri figli? Tra l’altro per un fraintendimento così sciocco e in ogni caso risolto?
“Casa di bambola” ha fatto sicuramente discutere e probabilmente è proprio su questo che Ibsen voleva portare a riflettere. Tanto per cominciare, la disparità tra uomo e donna all’interno della classe sociale analizzata, cioè quella della borghesia di fine ottocento, dove è perfettamente normale che la donna abbia atteggiamenti infantili e l’uomo possa disporre della propria moglie in modo così drastico, sebbene non abbia compreso, o si sia dato la pena di analizzare, le motivazioni del suo agire nei suoi confronti.
L’impulsività era considerata prerogativa femminile, e questo lo so dai tempi di studio matto e disperato su quella sfortunata anima di Dora Maar, ma anche la persona più anticonvenzionale esistente al mondo potrebbe uscire da teatro con sentimenti contrastanti.
Ibsen ci pone davanti a una figura, quella di Nora, che ha tutto ciò che ha sempre desiderato, convinta che la sua felicità risieda nell’impersonare il perfetto angelo del focolare, dare alla luce figli, stabilità economica e pochi pensieri. È una vita comoda, a cui in molti sono stati abituati. E d’altra parte non vi è nulla di male in ciò che Nora possiede. Che male c’è ad essere madre? Che male c’è a vivere per la casa, ad amare un marito, ad avere benessere economico? Niente. Ma Nora ha potuto scegliere? Nora è un’identità fisica a sé stante? Al di la della porta d’ingresso della casa di suo marito, Nora esiste? E le risposte che potremmo darci, inizialmente, non ce la rendono troppo amica, perché è un personaggio che si pone ai nostri occhi con troppa infantile leggerezza e con uno sbaglio del suo passato che torna a tormentarla, per colpa del quale è in pericolo lo status sociale del marito.
Guarda un po’ questa cretina sbadata che finisce di male in peggio, dalla padella nella brace e che poi, scampato il pericolo chissà per quale miracolo, decide di mandare nuovamente tutto a puttane. Con quale cuore?
Chi legge “Casa di bambola”, o lo vede rappresentato a teatro, è facile che si sia indignato, perché è facile che quel pubblico sia un pubblico borghese, con certi preconcetti sulle differenziazioni di genere che vanno al di la dello spirito critico, ben radicate nell’inconscio di un’educazione, di un ambiente domestico, di una cultura decisamente non all’insegna della parità. Per questo viene così facile snaturare Nora, che abbandona i suoi figli per cercare sé stessa varcando la soglia di casa. E Ibsen viene lapidato dalla critica, ma lascia ai posteri, alle generazioni future, l’ardua sentenza, quella più critica; ci trascina nell’abisso con lui e cerca di far saltare per aria questi preconcetti collettivi.
“Casa di bambola” è un’opera che vi consiglio tantissimo, proprio perché porta a riflettere in questo senso, promuovendo un personaggio apparentemente indifendibile, che si pone come pasticciona, se non proprio come figura cattiva e che invece è in una delle posizioni più scomode che possano esserci nella società moderna.
Se l’avete già letta perché è un classico, o se la leggerete, fatemi sapere la vostra opinione e ovviamente se la vostra opinione è declinata in chiave femminista tanto meglio!
Io vi saluto e vi auguro buona continuazione della settimana.
Alla prossima, lettori!


-Liù

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