venerdì 16 marzo 2018

Letteratura americana - Capitolo 7



Chi si trova fra le mani questo libricino piccolo piccolo, “Il gabbiano Jonathan Livingston”, di certo sarà a conoscenza della portata e dell’importanza che ha avuto questo romanzo, ma immagino che sia così per la sua fama, non certo per la sua mole. Centotrè pagine scarse sono assai poche, eppure qui dentro c’è tutto ciò che Richard Bach voleva dire, forse di più.
Mica per niente l’autore è stato un aviatore; mica per niente il suo romanzo parla di volo e velocità. E comunque non solo, aggiungerei io.
Giustamente considerato un best seller mondiale, “Il gabbiano Jonathan Livingston” fa dell’essenziale, quanto dell’essenza, il suo punto cardine.
Per spingere a osare di più, nella propria vita, lo dovrebbe prescrive direttamente il medico. Una dose di Jonathan e via che si parte di ambizione e cuor di leone!
Inutile dire che la colonia di gabbiani presentata all’inizio e di cui il gabbiano Jonathan fa parte, ovvero lo Stormo Buonappetito, è ovviamente una rappresentazione chiara ed evidente di un gruppo sociale di esseri umani, tra i quali il nostro protagonista fa da voce fuori dal coro, da pecora nera che non viene capita, perché su un piano completamente diverso rispetto ai suoi simili. Mentre la massa è occupata a procurarsi il cibo come sola azione importante al proprio sostentamento e in questo contesto la pratica del volo funge solo da mero strumento, Jonathan vola per il puro e semplice piacere di farlo, determinato a raggiungere la completa perfezione in questa attività per lui fine a sé stessa e che viene identificata, appunto, come l’essenza stessa di sé.
Jonathan è attirato dal cielo come una calamita, sa che quello è il suo posto. Il cibo è un bisogno futile e basso, il volo è invece fondamentale, una necessità mentale.
Questo rapporto tra il gabbiano e il volare, tra l’orecchio che ascolta e la voce che chiama, è riconducibile al rapporto esistente tra l’uomo e il suo sogno, la sua ambizione. No, non si parla di un’ambizione qualsiasi, ma di ciò che si è da sempre destinati ad essere, ciò a cui si punta perché è nella nostra natura farlo.
Non mi stupisce che Richard Bach sia americano. Questa aspirazione del volo non vi ricorda vagamente una certa luce verde, a cui un certo grande (ma non troppo grande) Gatsby ha anelato?
La cultura del sogno, tipica dell’America nella sua forma più pura e originaria, ha di certo influito sulla fiaba di Bach e al contrario di Fitzgerald, ne “Il gabbiano Jonathan Livingston” si mostra il lato positivo di tale tendenza. Raggiungere il proprio sogno è possibile, ci viene detto. Lo è attraverso il duro lavoro, amore e passione per ciò che si pratica; tempo da dedicare ad esso. È quasi doveroso impiegare tutte le proprie energie per quel sogno, un dovere imprescindibile, invalicabile, impossibile da ignorare.
Tante sono state le interpretazioni date alla filosofia che vuole trasmettere quest’opera. Il volo e la dedizione del nostro gabbiano sono state avvicinate spesso alle filosofie orientali come il buddismo, al cristianesimo nella sua forma più positiva, alla New Age e non abbiamo difficoltà a crederlo, dal momento che la vita di Jonathan il gabbiano è fatta di vari stadi di consapevolezza e di benessere spirituale, dovuti alla padronanza della sua attività prediletta, il volo.
Lo stesso libro viene suddiviso in tre parti distinte, in cui il protagonista passa da una posizione di reietto all’interno della sua società, perché troppo sognatore e incompreso, a un posto dove invece viene capito e ha la possibilità di sviluppare al meglio le sue potenzialità ed in fine, nell’ultima parte, troviamo un gabbiano più saggio e maturo, determinato a portare il suo sapere anche nello stormo d’origine, nonostante dallo stesso sia stato esiliato. È il percorso spirituale di Jonathan che viene raccontato, la sua capacità di elevarsi al di sopra delle masse grazie ad una maggiore sensibilità interiore che lo rende anche lungimirante rispetto agli altri, il potenziale per divenire leader, per guidare i suoi simili e per raggiungere una perfezione guadagnata attraverso l’impegno e la costanza, che gratifica in sé e per sé, non come strumento per giungere a qualcos’altro, ma che trae la sua forza da sé stessa, dalla sua essenza. La parola “nirvana” non viene mai usata, in questo libro, ma la si può leggere in quasi ogni riga e nella struttura stessa del romanzo.
Il punto debole, forse, viene raggiunto dalla grande pignoleria nelle descrizioni dei voli che Jonathan fa per migliorare la sua tenuta in cielo. Ogni dettaglio, ogni parte del corpo del gabbiano, ogni giravolta nell’aria non manca mai di essere trascritta. Devo ammettere di averlo trovato un po’ noioso, ma su un testo così piccolo diciamo che se lo può permettere senza risultare troppo pedante.
Consiglio questo libro ai ragazzi delle medie, più precisamente di terza media. Potrebbe essere un valido aiuto al periodo di orientamento rispetto alla decisione sulla scuola superiore in cui andare.
“Il gabbiano Jonathan Livingston” può dare quella carica in più, quello spirito combattivo necessario all’inizio di un nuovo percorso di vita e soprattutto la voglia di non arrendersi davanti alla sensazione di sentirsi persi, o spaesati. Tenete duro, ragazzi e leggete Richard Bach!
Io vi saluto, vi auguro buon fine settimana e alla prossima, lettori!


- Liù

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