venerdì 5 ottobre 2018

Saggio - Capitolo 8




Buongiorno popolo, oggi parleremo di una storia vera, che non si esaurisce nell’autobiografia, perché non parla apertamente e dettagliatamente della vita dell’autore, ma apre uno spiraglio su di essa e ci lascia dare una sbirciatina all’interno.

Questo libro ha avuto una grande risonanza sui social network, soprattutto su Facebook, perché l’autore utilizza questo programma in modo ampio e diffuso per comunicare e rendere note le molte iniziative a cui partecipa e/o che organizza. Lo conoscerete ormai tutti, perché è il fondatore ed il volto della onlus “Vorrei prendere il treno”, diffusasi a macchia d’olio nel 2015 anche grazie alla collaborazione di Lorenzo Baglioni.
Il protagonista di questo post, però, è Iacopo Melio, con il suo libro “Faccio salti altissimi”. Essendo una sorta di saggio, con degli episodi di vita reale, non c’è una trama come avviene per i romanzi di cui parliamo solitamente. Per questo motivo saltiamo direttamente a parlare della scrittura.
Sapete che non ho fatto studi in merito, quindi il massimo che vi posso dire è che Iacopo utilizza una scrittura molto efficace sia in termini di argomento trattato che in termini di intrattenimento: il suo stile semplice ma divertente e autoironico, in parte stona con l’argomento principale, ovvero la disabilità. Chiaramente questa “stonatura” non è reale, ma è un’impostazione mentale della società a renderla tale, perché associare l’ironia e la disabilità è ancora considerato “sbagliato”. La motivazione la spiega bene l’autore stesso: spesso il disabile viene trattato con comportamenti di compassione/pietà, quindi bisogna fare attenzione a quello che si dice per non rischiare di offenderlo, perché è fragile, diverso, eccetera eccetera, oppure con indifferenza/disgusto, come se fosse una persona da tenere a distanza, non si sa mai possa essere contagiosa.
In questo libro Iacopo rompe il primo tabù semplicemente con il suo modo di scrivere.
Lungo le pagine tratta diversi argomenti legati al mondo della disabilità (che chiameremo così per questioni di chiarezza ma non amo in generale il termine e poi vi spiegherò anche il perché), come l’amore, […] Dato che le tematiche sono molte, e voglio spingervi a leggere questo libro, non lo racconterò per intero, ma vi parlerò solo dei temi che mi hanno portato a riflettere maggiormente.
Tra questi torna la questione della compassione: essere solidali, comprendere o empatizzare con una persona che vive una difficoltà non è, e non deve essere, un sinonimo di “provare pietà”. Questo significherebbe considerare la persona disabile solo in termini di fragilità senza considerare invece quelli che sono i suoi punti di forza. Il termine “disabilità” richiama inevitabilmente l’attenzione sull’incapacità di fare qualcosa, ma nessuno di noi è in grado di fare tutto. Io non so andare con lo skateboard, ad esempio, e mai ne sarò capace, eppure nessuno parla di me come di una persona disabile. È un esempio molto banale, ma è giusto per rendere l’idea.
Trattare una persona con disabilità in modo speciale o diverso da come si farebbe con tutti gli altri, significa stigmatizzarla, identificandola come “incapace” o “diversa”. Questa stigmatizzazione deriva dalla società, dalla cultura, dal modo di pensare. I bambini non fanno automaticamente questa distinzione, se prima non gli viene insegnata; i bambini guardano oltre il muro della disabilità, perché oltre quel muro c’è ben altro, e loro lo possono vedere perché sono disponibili a farlo. Hanno un reale interesse verso il mondo e verso gli altri, per questo non si lasciano trasportare dalla corrente. Noi adulti, invece, abbiamo imparato a ragionare attraverso le euristiche, scorciatoie cognitive che non si basano su un metodo vero e proprio, ma sono rapide e richiedono uno scarso dispendio cognitivo. Sono per questo le più utilizzate, e sono anche utili in diverse occasioni, ma è importante sapere che questo tipo di ragionamento non è funzionale e non è nemmeno ottimale. Bisogna essere consapevoli e serve un grande impegno per farsi sempre più domande, per aumentare le proprie conoscenze e la propria cultura. Cultura dovrebbe essere la parola chiave, perché solo lei potrà salvarci dal declino verso il quale ci siamo ormai incamminati.
Purtroppo, dispiace dirlo, ma chi parla e affronta questi temi, tende a farlo in continuazione, e coloro che si interessano di ascoltare queste riflessioni o partecipare a questi eventi di sensibilizzazione, sono spesso gli stessi, che ascoltano e riascoltano lo stesso argomento, trattato anche da diverse persone. Quando mia mamma mi parla sempre degli stessi argomenti ho l’istinto di alzare gli occhi al cielo e dire “Ancora? Ma basta. Lo so, ho capito, anche io me ne interesso ma non ne parlo a chiunque!”. In realtà sono concetti che vanno ripetuti e mantenuti anche se già si conoscono, perché il rischio di scegliere la via più semplice, sfruttare le euristiche e abbandonarsi alle futilità è sempre dietro l’angolo. E dietro quell’angolo, una volta girato, ci attende la noncuranza, l’indifferenza e la paura. E magari pure un governo Salvini. Orrore.
Siamo quello che viviamo, siamo costruiti in modo parzialmente innato e parzialmente appreso, in un mix di genetica/biologia e apprendimento/educazione/esperienza. Per questo spesso chi nasce con una difficoltà o con una disabilità tende ad essere più sensibile e più comprensivo. Non vale per tutti, ovviamente, non è una regola. Iacopo scrive che ci sono anche disabili antipatici e poco carini, ma sono esseri umani anche loro, perché dovrebbe essere diverso? Sapete quanti s*****i ci sono tra i cosiddetti “normali”?
Infine voglio citare la metafora dell’aragosta di Twersky che l’autore ha inserito nel libro, e che non conoscevo affatto. Quindi se non l’avete mai sentita e non sapete cosa sia, vi consiglio vivamente di cercarla.
Ora, so che forse ho parlato in modo un po’ confuso, ma il motivo sta proprio nella mia intenzione di spingervi a leggere questo libro. Iacopo ne parla in modo così semplice, chiaro ed efficace, sia in termini di contenuti sia in termini emotivi, che non credo esista un modo migliore.
Quindi Iacopo, nel caso tu stessi leggendo questa “recensione”, visto che ne hai accennato nel libro, ti consiglio vivamente di prendere un gatto, perché sono meravigliosi e spesso incredibilmente affettuosi. Anche io ero scettica e ora invece non tornerei MAI indietro.
Leggete “Faccio salti altissimi” e non ve ne pentirete, quindi correte in libreria, o in biblioteca se proprio prima di comprarlo voleste essere sicuri che ne vale la pena, e la mia parola non vi basta, e riempite le vostre teste e i vostri cuori.
Iacopo con la I, grazie per averlo scritto, aspetto un tuo selfie con il gatto!
A tutti voi, che aspettate???
-Pearl

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